Aiutiamo papa Leone, non è un supereroe

È come se quel suo primo lungo silenzio sulla Loggia delle Benedizioni si andasse via via riempiendo di parole e di gesti, della vita del figlio di migranti a Chicago “donato” missionario al Perù. Stiamo “scoprendo” di giorno in giorno Robert Francis Prevost, il nuovo Pietro: più che la curiosità per la sua biografia deve prevalere la riconoscenza per la sua persona. E, tanto più, la corresponsabilità con il suo servizio agli uomini e al mondo di oggi.

Come egli stesso ha esortato nel primo saluto (“uniti mano nella mano con Dio e tra di noi andiamo avanti!”), ribadito ai cardinali nell’omelia nella Cappella Sistina: “so di poter contare su ciascuno di voi per camminare con me, mentre continuiamo come Chiesa, come comunità di amici di Gesù, come credenti ad annunciare la Buona Notizia”.

Un cittadino del mondo, un frutto maturo del Concilio Vaticano II, un uomo di governo “con l’odore delle pecore”. Sul primo Papa americano – ma poliglotta e globetrotter in ogni continente negli anni di guida degli Agostiniani – abbiamo letto, raccolto e ascoltato con entusiasmo le testimonianze di parenti, amici e confratelli. Vien da pensare che papa Francesco abbia davvero molto apprezzato le doti umane e pastorali del vescovo Prevost nella missione in Perù: la semplicità, la mitezza, la carità verso i poveri più poveri, la profondità teologica e lo stile collegiale, il rigore analitico del matematico-canonista con la flessibilità richiesta dalle comunità latinoamericane. Anche per questo lo ha chiamato a Roma per supportarlo nel rapporto con le Conferenze Episcopali di tutto il mondo, nelle scelte e nella formazione dei nuovi vescovi, premiando capacità di ascolto e concretezza, tranciando sul nascere ambizioni di carrierismo.

Ed in questi due anni al Dicastero vaticano Prevost ha potuto cogliere da Francesco anche le prossime tappe della “rivoluzione” avviata: sia nella riforma interna della Chiesa (che ora egli è chiamato ad aggiornare anche negli organismi e nella struttura della Curia romana) che nei rapporti con il mondo attraversato da atteggiamenti di ateismo, egoismo e indifferenza descritti nel primo discorso ai cardinali. Nei suoi primi interventi Leone XIV ha rilanciato di fatto l’applicazione delle intuizioni del Concilio Vaticano II, insistendo sul cristocentrismo teologico, la centralità della Parola, l’apertura “ad gentes”, il metodo sinodale. Avendo preso parte attiva in vari Sinodi dei vescovi, papa Prevost sa bene anche quanto ci si aspetti da lui rispetto ad alcuni temi brucianti: dal clericalismo ai ministeri laicali, dalle donne al mondo LGBTQ+, dalla tecnocrazia capitalista alle attese dei Paesi impoveriti, dalla conversione ecologica al rapporto con i potenti della Terra…

Dobbiamo esprimergli in anticipo riconoscenza per le scelte oggi imprevedibili che egli ci riserverà. Senza mitizzarlo o idolatrarlo per poi abbandonarlo alla prima delusione, o scaricando addosso alla sua persona quelle che nelle chiacchiere da bar restano “le colpe della Chiesa”. Non vuole essere considerato un supereroe, tantomeno un leader sociale e nel suo rigore agostiniano farà di tutto per “farsi piccolo perchè Lui sia conosciuto e glorificato”.

Se “il futuro della Chiesa non è sulle spalle del Papa, ma nelle mani del Risorto”, come ci ha spiegato anche il vescovo Lauro alla viglia del conclave, dobbiamo aiutare il Papa con la vicinanza della preghiera, vivendo il Vangelo che egli ci rilancia, negli ambienti in cui ci troviamo a vivere da cittadini e da cristiani. Sarà il modo per accompagnarlo e sostenerlo, per scendere anche noi idealmente in quella che “il Manifesto” ha definito nel suo titolo immaginifico “la fossa del Leone”.

vitaTrentina

Got Something To Say?

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *


Il periodo di verifica reCAPTCHA è scaduto. Ricaricare la pagina.

vitaTrentina