Dopo aver deposto una corona di fiori al cimitero di San Leonardo che custodisce pure i resti dei 71 corpi non identificati della tragedia di Stava, sabato prossimo nel teatro di Tesero il Presidente della Repubblica non si rivolgerà soltanto ai familiari delle 268 vittime. Parlerà a tutto il Paese e avrà una risonanza ben più estesa nel tempo.
È sempre così per i discorsi di Sergio Mattarella: l’ultimo esempio, alla vigilia del Primo Maggio a Latina, quando ha scelto la simbolica visita ad un’industria farmaceutica per ammonire tutti sul principio che “il lavoro non può separarsi mai dall’idea di persona, dalla unicità e dignità irriducibile di ogni donna e di ogni uomo”.
Mattarella in Fiemme non rinnoverà solo l’affetto solidale verso le comunità sepolte dal fango – c’erano famiglie anche di turisti da ogni parte d’Italia in un lutto forse mai così nazionale – e il dovere di una “memoria attiva”, tenuto desto dalla Fondazione Stava 1985 fin dai primi anni e rilanciato in questi mesi del Quarantesimo.
Il Capo dello Stato richiamerà alla responsabilità sociale d’impresa (secondo il riferimento etico teorizzato dal prof. Stefano Zamagni, al quale sabato è affidata la lectio magistralis) e alla consapevolezza ancora insufficiente della relazione delicata fra profitto e sfruttamento ambientale, bramosia di arricchimento e dignità della persona umana.
Di questa relazione spezzata è simbolo il crollo dei bacini di Prestavèl. Lo ebbe a scrivere lo stesso presidente Mattarella, il 19 luglio di dieci anni fa in un messaggio pubblicato da l’Adige: “Stava è il simbolo di un modo gravemente sbagliato di concepire l’attività economica, il profitto, il rapporto con l’ambiente, la valutazione del rischio”.
L’esito del processo penale ha consegnato alla storia (anche se non al carcere) la responsabilità di chi aveva determinato – e sottovalutato, e tollerato – l’instabilità cronica dei due bacini di decantazione della miniera di fluorite, i quali “prima o poi dovevano crollare” secondo le previsioni riportate anche nelle carte processuali.
Ed è vero anche oggi, quanto il giudice istruttore di allora, Carlo Ancona, ci disse vent’anni fa per un numero speciale di Vita Trentina: “Troppa gente ritiene che gli affari siano più importanti della vita e si possa tranquillamente correre il rischio di tante vite umane, pur di andare avanti con certi modelli di sviluppo, risparmiando sui controlli cifre irrisorie. A monte di Stava, c’è l’indifferenza al valore della vita umana rispetto alle esigenze della produzione”.
Era stato Giovanni Paolo II nella sua omelia del luglio 1988 sotto i larici sbrecciati di Stava a richiamare senza appello che “nei confronti della natura ci sono anche leggi morali che non si possono impunemente trasgredire”.
Quarant’anni dopo quel dolore innocente (lenito da tante mani di soccorritori che salvarono anche molti feriti) possiamo stare certi che Sergio Mattarella sabato 19 luglio saprà indicare le condizioni e i comportamenti per prevenire o arginare le conseguenze irreversibili delle catastrofi industriali, minerarie ed ambientali. Le sue parole non ci trovino distratti o, peggio ancora, indifferenti.