Acqua e vocazioni: due sorgenti che rischiano di prosciugarsi

Scarsità di vocazioni e scarsità di acqua, due sorgenti che rischiano di prosciugarsi. Mi sono domandato: cos’è più grave? Cosa ci mancherà di più? (…) La sete dello spirito lascia l’uomo tecnicamente vivo, ma esistenzialmente perso. Possiamo davvero separare le due seti? Sul fronte idrico gli esperti dicono che sappiamo che l’acqua scarseggia, eppure agiamo come se non fosse vero. Rimandiamo. Tamponiamo. Dimentichiamo. Lo stesso accade con la crisi vocazionale. Sappiamo che molte parrocchie rischiano di restare senza guida spirituale. Eppure, continuiamo come se nulla fosse, come se qualcuno risolverà il problema al posto nostro. In entrambi i casi, sappiamo ma non agiamo. Perché? Forse perché entrambe le crisi richiedono un cambiamento culturale che spaventa. Si parla di un “patto idrico” basato su giustizia sociale e pianificazione. Non è forse lo stesso per la Chiesa? La crisi vocazionale non si risolve solo ordinando più preti (ammesso che ci siano). Richiede che tutta la comunità cristiana si riappropri del Vangelo, che i laici tornino protagonisti. (…) E la risposta è nella cura, non nella paura. Cura dell’acqua, dei suoli, degli ecosistemi. Ma anche cura delle relazioni, della fede, del senso condiviso. Cosa stiamo facendo per custodire entrambe le sorgenti? Domani, quando avremo sete del corpo o dello spirito, sarà tardi per scavare pozzi”.  

Giuliano Preghenella 

Due emergenze correlate che si affacciano al futuro: la sete dell’uomo e la sete della terra. Ambedue provengono da una perdita del “sacro” in una società diventata consumistica, rottamatrice di natura e sentimenti, che bada agli interessi immediati ed ai diritti personali e perde il senso di comunità. Ed è qui che occorre intervenire, di qui – sperando – ripartire per custodire il creato e restituire sacralità alla presenza umana, riscattandola da troppe conflittualità, anche interpersonali, ma anche da presunzioni di autosufficienza. Molti giovani, nella loro solitudine, privi di maestri e di pastori, chiedono ormai ai siti di intelligenza artificiale una risposta ai loro dubbi: “Che fare?” Per placare la sete, sia della terra che dello spirito, occorre riscoprire progetti di comunità che siano però anche progetti di umiltà. Non soluzioni attese dall’alto o dall’esterno, ma coinvolgimento diretto, partecipato, cooperativo. “Insieme” per affrontare problemi che tutti ci riguardano.  

Umiltà significa consapevolezza che da soli non riusciamo a placare la sete, né nostra né altrui, che abbiamo bisogno di altre figure accanto a noi, di altre presenze, non solo di competenze. E per questo, può risultare utile fare memoria di un passato non lontano, riandando agli esempi di persone che si sono spese e donate per placare la “doppia sete”, materiale e spirituale, come don Guetti nei filò contadini e De Gasperi nelle piazze dei comizi, nella solidarietà fra “co-montanari” e nella buona politica fra “cittadini”. E dobbiamo riconoscere, oggi, che c’è bisogno di queste figure nella Chiesa e nella società civile, come c’è bisogno di maestri e maestre nella scuola.

Occorrono certamente istituzioni che funzionano (giustizia, sanità, produttività, imprese…), ma è questo tessuto sociale “minore” che occorre ricostituire e rivitalizzare, che in un territorio alpino come è il Trentino viene dato per scontato e invece si è spesso lacerato.  

Che fare allora? Ricostituire e ricostruire presenze comuni ognuno per la propria parte, sia a livello pubblico che personale. Così per l’acqua alla terra, alla “politica” nazionale e locale spetta non solo finanziare studi e ricerche sulla progressiva erosione dei ghiacciai e sui mutamenti delle precipitazioni, ma avviare un ciclo di vasta progettualità pubblica per riparare le perdite della rete idrica, bonificare le falde sotterranee e radicare, iniziando dalla fascia costiera, una capace rete di desalinizzatori.  

Sono i desalinizzatori, non i ponti di Messina le opere che l’Italia richiede. Per i territori alpini la priorità richiesta è invece quella delle cisterne di raccolta dell’acqua nei periodi di piovosità intensa, per poi poter irrigare le colture nei momenti di necessità. O, forse, la Cooperazione, con la sua esperienza “Insieme” potrebbe riflettere su questa prospettiva e aggiungere questo settore ai già molti impegni di “supplenza” civile che affronta. Per quanto riguarda la “sete” di spiritualità, caro Preghenella, anche in questo caso non merita sfiduciarsi, ma occorre prepararsi, che significa preparare uomini e motivazioni, ma anche aprirsi ad uno spirito di collaborazione ed accoglienza.

Mancano i sacerdoti, è vero, ma s’è anche visto che, per tanti motivi essi non possono essere sostituiti, semplicemente ed automaticamente, da laici volonterosi, i quali però, se motivati e preparati, possono prestarsi a servizi diversi e rilevanti, davvero missionari. In questo caso non si parte da zero e non sono pochi i sacerdoti trentini che possono testimoniare il ruolo di aiuto e appoggio dei laici (uomini e donne) nella loro missione di pastori.  

Per non dire dei “movimenti”, non a caso cresciuti e diffusi nell’ultimo secolo. Senza voler far torto a nessuno, basterebbe ricordare l’esempio dei Focolari, con l’impegno e il “sogno” (ancora non realizzato) di Chiara Lubich, di accendere un “focolare” in ogni paese del Trentino, non una “sezione” del Movimento o solo un gruppo di spiritualità, ma una presenza di accoglienza e ascolto, di aiuto per una comunità da sostenere, una casa dove poter entrare ad esporre i propri problemi, quelli dei figli. Anche in questo caso la speranza di soluzione sta in progetti da costruire insieme, nella disponibilità ad accogliere e accogliersi, come ha coraggiosamente sottolineato papa Leone nel suo intervento l’altra domenica in occasione del Giubileo dedicato a catechisti e missionari, quando più volte s’è soffermato sul verbo “restare”. Occorre restare in una comunità per renderla viva.  

Essere missionari è anche “restare” non solo partire per portare il vangelo (e l’aiuto ai fratelli) in terre lontane, ma restare a ravvivare il fuoco dello Spirito nei focolari delle case vicine, perché le braci non si spengano. Lo spirito missionario (che ha caratterizzato generosamente i nostri paesi) – ha detto ancora papa Leone – è oggi anche accogliere lietamente i sacerdoti che ora vengono da altre terre e da altre culture, dove una volta i nostri paesi inviavano i sacerdoti, ed ora li ricevono. La sete, caro Preghenella, si può placare non solo con gli acquedotti o con il pozzo della Samaritana, ma con piccoli ruscelli d’acqua fresca che provengono da monti e mondi lontani. 

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