La politica gridata e la realtà dei numeri

Foto ANSA / IGOR PETYX

Di staccarci dal teatrino della politica sembra non ci sia verso: i gruppi dirigenti sono convinti che faccia audience, per cui lo alimentano un po’ tutti, ovviamente ciascuno con l’ipocrisia di dire che quelli vergognosi sono gli avversari, perché se fosse per lui se ne farebbe volentieri a meno.

Il risultato è che si parla più di fantasmi evocati ad arte che di problemi concreti. L’esagerazione domina: Meloni non resiste a dire che la sinistra (generica) è più integralista di Hamas (per la verità argomentando che ha criticato il piano Trump mentre quel gruppo terroristico lo aveva sottoscritto) e Schlein corre a vendere in giro che in Italia c’è l’estrema destra al governo e non c’è libertà di parola (fare un giro sui talk show per verificare…). Ci viene spiegato che tutto risponde alla logica del tenersi stretto il consenso dei rispettivi pasdaran, o delle rispettive “curve” (come si usa dire con linguaggio calcistico), anche se i politici fingono di stracciarsi le vesti per un astensionismo che cresce e che si ritiene dipenda dal fatto che la politica non è abbastanza integralista.

A sconfessare questa interpretazione è appena uscita una ricerca demoscopica di IPSOS con l’ufficio studi di Lega Coop secondo cui sette italiani su dieci non si sentono rappresentati dalla classe politica (1 su 3 per nulla). Inoltre, due terzi degli italiani ritengono che il proprio voto non incida realmente sulle decisioni politiche. L’astensionismo è dunque diventato il sintomo più visibile della frattura tra cittadini e politica. Le motivazioni principali sono la mancanza di fiducia nei leader politici (28%) e l’assenza di partiti o candidati capaci di rappresentare gli elettori (16%). Seguono a una certa distanza la protesta contro il sistema politico (12%) e la stanchezza e la rabbia (11%).

Portiamo qualche altro dato interessante. Sulle ragioni che influiscono sulla scelta di non votare, al primo posto figura la disillusione verso i partiti (63%), il fatto che “nessuno si occupa seriamente del caro tasse” (62%), la disillusione dopo precedenti esperienze di voto (56%), la scarsa rappresentanza dei propri interessi (53%), l’insoddisfazione per le politiche economiche (52%), la sensazione che le decisioni importanti vengano prese altrove (51%). Ma veniamo alla possibilità che si esca dal gap dell’astensionismo. Quasi quattro astenuti su dieci affermano che tornerebbero a votare se trovassero un candidato o un partito capace di rappresentarli pienamente. Le condizioni indicate per invertire la tendenza sono chiare: meno corruzione e clientelismo (55%), programmi politici più chiari e concreti (43%), maggiore attenzione ai temi che toccano la vita quotidiana (34%), più trasparenza nei processi decisionali (30%).

Come si vede non è con le intemerate che i partiti potranno allargare il loro consenso, anche se, aggiungiamo noi, il problema in questo momento sono le coalizioni: tanto nel destra-centro quanto nel fu centro sinistra i vertici temono che ad invertire la tendenza si rischi, perché ci vuole del tempo perché la gente se ne accorga, e intanto gli intemerati ben presenti nei due campi non demorderanno rosicchiando consensi a quelle componenti dei partiti che stanno capendo quanto sia scivolosa la china su cui si sono incamminati.

Ragionare sui numeri è del resto complicato. Prendete il tema, certo molto grave, della crisi del sistema sanitario. Tutti ad accapigliarsi sul fatto se si stia aumentando o diminuendo la spesa pubblica per il comparto, mentre escono i numeri sulla carenza di medici e di infermieri disponibili. Ora se questi numeri sono veri anche facendo un po’ di tara, qualcuno deve spiegare come si potrà rapidamente supplire a questo fatto solo con la disponibilità di spesa. Per formare medici e infermieri come minimo ci vuole tempo. Importarli non è uno scherzo: non ci sono solo problemi di salario, ma anche di costo della vita, ma soprattutto di compatibilità culturali, a partire dalla questione linguistica, perché il rapporto medico-paziente deve essere fiduciario e dunque richiede possibilità di comunicare in modo molto appropriato.

Facciamo questo esempio più che banale, ma ragionamenti simili possono essere replicati con gli opportuni adeguamenti per tanti settori. Se i partiti non riescono a parlare la lingua della credibilità il distacco fra i cittadini e la politica aumenterà ed è abbastanza velleitario pensare che si possa risolvere tutto inventandosi di sana pianta nuove formazioni, per cui ci vogliono tempo (non poco), risorse e soprattutto talenti che non sorgono semplicemente perché sarebbe bello averli a disposizione.

vitaTrentina

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