Don Ciotti: “C’è bisogno di una nuova Resistenza”

Mafia e corruzione sono due facce della stessa medaglia

Il primo, in ordine temporale, è Emanuele Notarbartolo, ucciso dalla mafia nel 1893. Gli ultimi tre nomi sono del 2014: Nicola Campolongo, Domenico Petruzzelli e Vincenzo Ferrante. In mezzo altri 900 nomi, a cui quest'anno si sono aggiunti quelli delle vittime della strage di Bologna, della strage di Ustica e della Uno Bianca. Questi nomi, ricordati uno ad uno, hanno accompagnato la marcia pacifica dei 200 mila che lo scorso sabato 21 marzo hanno camminato per le strade di Bologna nella XX “Giornata della memoria e dell'impegno in ricordo delle vittime innocenti delle mafie”, organizzata da Libera e Avviso Pubblico. Il corteo lungo tre chilometri (con una nutrita rappresentanza trentina e tantissimi giovani, scout, diverse scuole del Nord e del Sud, oltre 200 sindaci con fascia e gonfalone) ha riempito piazza XXIII Agosto, abbracciando i cinquecento familiari che avevano sfilato in prima fila. Memoria e impegno, perché non esiste memoria senza impegno. Perché, ha avvertito don Luigi Ciotti dal palco, “non basta mettere una targa, intitolare una piazza, dedicare una manifestazione. Questi nomi ci devono scavare dentro!”. La loro eredità è “il dovere della verità, il coraggio di seguire la voce scomoda delle coscienza”. Lo dice bene lo slogan della Giornata di quest'anno: “La verità illumina la giustizia”.

Un impegno che Libera traduce, oltre che nell'azione antimafia, nella battaglia per i diritti, con grandi campagne come quella sull'approvazione del reddito minimo (un “reddito di dignità”) o sull'introduzione degli ecoreati nel codice penale. Fino alla lotta alla corruzione: “Niente negoziati sulla corruzione, sul falso in bilancio, sulla prescrizione” ha tuonato dal palco don Ciotti. E il pensiero va a Napoli, a Papa Francesco che quella stessa mattina aveva detto che la corruzione “puzza”. Parole riprese con forza dal presidente di Libera: “La corruzione è la più grave minaccia della democrazia, un reato dai costi sociali enormi”. Ma “c'è chi non vuole una legge chiara e radicale contro la corruzione. L'impressione è di assistere a una nuova trattativa”, perché “corruzione e mafie sono due facce della stessa medaglia”: oggi le mafie non hanno più bisogno di infiltrarsi, “di entrare dalla porta di servizio: trovano porte aperte, strade spianate e a volte persino comitati di accoglienza”: una vera e propria “occupazione”, ha spiegato Ciotti. Allora “c'è bisogno di una nuova liberazione dalla presenza criminale e dalle forme di illegalità, una nuova resistenza etica, sociale, politica”. Le mafie sono in mezzo a noi più di quanto immaginiamo: non si tratta solo dei poteri illegali, ma “dei poteri legali che si muovono illegalmente”, ha denunciato il sacerdote senza fare sconti a nessuno: “C'è troppa legalità formale, malleabile, sostenibile… scritta più nei codici che nelle coscienze”. E “non c'è regione d'Italia che non possa non porsi questo problema”.

Da Bologna, nel ventesimo compleanno dell'Associazione da lui fondata, Luigi Ciotti lancia richieste chiare alla politica – “dove ci sono i mascalzoni, ma dove troviamo anche tanta bella gente”, chiedendo che siano tutelati e sostenuti quanti si impegnano a consegnare verità e giustizia al nostro Paese. Alla magistratura, le forze dell'ordine e gli organi competenti, a chi le mafie le combatte nella sua battaglia quotidiana, don Ciotti ha rivolto un sentito incoraggiamento.

Ma attenzione: “Non facciamo l'errore di delegare tutto alla politica!”. Lo stesso avvertimento lo aveva lanciato poco prima Margherita Asta, in rappresentanza di tutti i famigliari elle vittime, ed era stato consegnato la sera precedente a più di 1000 giovani scout dell'Agesci dalla magistrata Anna Canepa: “Non delegate, perché quando intervengono le istituzioni vuol dire che è tardi: il lavoro va fatto prima”. Sono la furbizia e l'indifferenza che portano alla corruzione e alle mafie: “Chiediamoci: noi quando siamo mafiosi?”. E non basta scegliere da che parte stare: don Ciotti ha messo in guardia dal rischio di “sentirsi comodamente dalla parte giusta. La parte giusta non è un luogo dove stare, ma un orizzonte sempre da raggiungere”. In un'alleanza tra società civile e istituzioni, dove leggi e buone pratiche vanno a braccetto, fatta di passi di impegno da compiere nella quotidianità, ognuno per le sue competenze, costruendo percorsi comuni di legalità, verità e giustizia.

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