Con il nome di Robert Francis Prevost scritto sulla scheda dalla larga maggioranza dei 133 cardinali in conclave da appena 24 ore, lo Spirito Santo è andato a pescare un altro pastore “quasi dalla fine del mondo”. Sarà il primo americano – lo chiamavano “padre Bob” i suoi amici – eppure è un vescovo emerito in Perù cresciuto nella Chiesa latinoamericana come Bergoglio. Chi invocava continuità, deve essere riconoscente. Non sarà un Francesco II – come conferma la scelta di tornare al nome di Leone, in omaggio al Papa “pastore sociale” della Rerum Novarum – e per lo stile umano ci riserverà delle sorprese diverse dal papa “gaucho”. Eppure il suo profilo “con l’odore delle pecore” coincide abbondantemente con quello ridisegnato in questi anni dal papa argentino.
Abbiamo infatti un nuovo vescovo di Roma, un agostiniano che dice “con voi sono cristiano, per voi sono vescovo” che annuncia l’essenziale dell’amore del Vangelo (“Dio ci vuole bene”), che è annuncio di “pace a voi” – una pace “disarmata e disarmante” – e che insiste sulla direzione di una Chiesa “in cammino” sinodale; non a caso ha firmato lui come prefetto le ultime scelte della Congregazione dei vescovi. Il lessico di Prevost viene tutto dal vocabolario di Francesco, le idee forti del pontificato si sovrappongono. Ma anche quel sorriso dolce e semplice, le braccia che s’allargano e accolgono, una lingua italiana sicura, il coraggio di alcune frasi a braccio, nel ricordo riconoscente all’ultima benedizione di Francesco. Ora cominciamo a pregare per Leone XIV. E lo facciamo ringraziando il Signore per il dono che ci ha fatto, promettendogli di camminare in sintonia con “padre Bob”.