Ravasi al Festival dell’Economia: “Dobbiamo fare in modo che le parole del Vangelo inquietino ancora”

Foto Marco Simonini

“Non ero più nel conclave per ragioni di anagrafe, ma l’ho seguito anche io, anche perché la mia residenza si affaccia proprio su piazza San Pietro. Quello che mi ha impressionato di più è che l’umanità ha ancora bisogno di simboli. Simboli anche poveri, che però hanno una carica in sé, come quel comignolo insignificante verso il quale convergeva lo sguardo”. Lo ha detto il cardinal Gianfranco Ravasi, ospite del Festival dell’Economia per l’inaugurazione ufficiale al Teatro Sociale di Trento giovedì 22 maggio.

Ravasi ha raccontato di un “rituale ancora rinascimentale, in cui i cardinali entrano in conclave e quando esprimono il loro voto lo fanno sotto lo sguardo del Cristo di Michelangelo, pronunciando una sorta di automaledizione: se non sceglierà chi è degno, che io sia condannato da quell’imponente figura di giudice”.

Il cardinale ha parlato di “bulimia” informativa e tecnologica – “c’è quella mano che regge sempre i cellulari, dove c’è tutto un mondo che si muove, un’infinità di mezzi per riuscire a conoscere” -, aggiungendo però che “l’anoressia dei nostri tempi è quella sul senso della vita”.

Ravasi ha ricordato parlato della “potenza” del Vangelo e del discorso della montagna, tale che “chiunque lo legge dovrebbe in qualche modo fremere, reagire”, e ha poi citato la conversazione avuta con Charles Taylor, autore del libro “L’età scolare”: “In questo dialogo lui mi ha chiesto che cosa accadrebbe se dovesse arrivare Cristo e pronunciare queste parole. Accadrebbe che arriverebbe un poliziotto a chiedergli i documenti. Invece dobbiamo fare in modo che queste parole inquietino ancora“.

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