Un passaggio stretto

Renzi continua ad ostentare grande sicurezza e non lesina battute sprezzanti contro coloro che si oppongono alle sue riforme (una delle ultime l’ha riservata all’Associazione Nazionale Magistrati, infrangendo un tabù della sinistra). A stare ai sondaggi il consenso popolare verso di lui è in crescita a livelli che da tempo un leader politico non raggiungeva. Eppure chi sostenesse che di conseguenza il premier può riposare sugli allori non azzeccherebbe la diagnosi.

Infatti adesso il suo governo deve stringere sulle riforme e non sarà una passeggiata. L’economia è la sua spina nel fianco, ma non si vede all’orizzonte una soluzione rapida. Certo fare delle riforme incisive aiuterebbe, ma un uomo assennato come il ministro Padoan ha messo in chiaro che per vederne i risultati ci vorranno tre anni. Un tempo troppo lungo, a meno che davvero Renzi non riesca a blindare il suo governo fino alla scadenza della legislatura nel 2018.

Intanto però bisogna che comunque le riforme le faccia passare e anche qui le difficoltà sono tante. Ovviamente il problema vero non è la riforma istituzionale, che suscita opposizioni e mugugni, ma che coinvolge le passioni di una quota molto limitata di popolazione. La faccenda seria sono le riforme strutturali come quelle sul lavoro, sulla giustizia e sulla pubblica amministrazione. Lì Renzi non se la può cavare solo cavalcando sentimenti popolari elementari che vedono negli oppositori vari a queste riforme (sindacalisti, ANM, alta burocrazia) dei privilegiati che, dopo aver fatto poco per migliorare la situazione, adesso non vogliono consentire di farlo a qualcun altro. Deve mostrare che le riforme si fanno ed entrano in funzione.

Può farlo senza garantirsi una maggioranza parlamentare sufficiente a travolgere tutte le resistenze? Ovviamente no, ma trovarla non è facile. I cespuglietti della maggioranza di governo sono inquieti di fronte ad un premier che si intesta ogni successo e non lascia agli altri alcuno spazio. Sanno che, comunque vada, devono affrontare dei passaggi elettorali alle regionali e alle amministrative e che dunque se non si presentano con una loro fisionomia distinta sono destinati a contrarsi sensibilmente se non addirittura alcuni a scomparire. Di qui la tentazione di mettere i bastoni fra le ruote del governo puntando sulla solita politica di lobby.

Dall’opposizione berlusconiana Renzi non può aspettarsi più di tanto. Certo a Berlusconi, per il bene delle sue aziende, conviene un profilo collaborativo, ma non è in grado di tenere a lungo a bada i suoi parlamentari che sentono il fiato sul collo sia dell’estremismo di destra (la Lega) sia del populismo qualunquista (Grillo e i suoi). Forse da quei settori non arriverà una vera strategia di attacco al governo, ma imboscate parlamentari sui singoli provvedimenti sono da attendersi.

Il PD è al momento un’incognita. Renzi punta a ricompattarlo intorno a lui offrendo una compartecipazione alle sue vittorie, ovviamente di minoranza, agli eredi dei suoi vecchi avversari. In sostanza è un invito ai giovani delle altre correnti ad abbandonare i vecchi leader ormai fuori gioco e ad accomodarsi al tavolo del vincitore. Non si capisce ancora quanto successo potrà avere con questa strategia, perché –anche questo è scontato- i vecchi sono poco disposti ad abbandonare la partita e i “giovani” sono divisi tra loro perché hanno un eccesso di galli nel loro pollaio, nessuno dei quali è troppo disposto a fare gioco di squadra.

Tutto questo significa che il premier deve affrontare i difficili passaggi parlamentari su economia, lavoro, riforma della giustizia, con un sistema di maggioranze variabili che però non danno molte garanzie. L’uscita di sicurezza delle elezioni anticipate è al momento sbarrata dalla mancanza di una legge elettorale plausibile. Certo alla Camera l’Italicum è passato e adesso basterebbe l’approvazione del Senato (quella elettorale è una legge ordinaria e non necessita di doppia lettura). Difficile però che riesca facilmente ad imporla sia per le opposizioni esterne, a cominciare da quella cospicua dei 5 Stelle, sia per le tentazioni che serpeggiano nel suo partito di non concedergli questa risorsa da spendere in caso di impasse sulle riforme.

Un bel pasticcio, al momento coperto da un po’ di spirito guascone e da qualche minaccia sul “dopo di me il diluvio”. Ma sono soluzioni deboli.

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