Covid-19, dal governo Conte una pletora di ordinanze

In fatto di comunicazione il premier Conte è proprio una frana, nonostante abbia un apposito addetto che si ritiene bravissimo. La conferenza stampa in orario da TG serali di domenica 26 aprile è stata un capolavoro di confusione: non illustrava niente in maniera chiara e era solo piena della retorica sul purtroppo debbo proporvi lacrime e sangue (si fa per dire): a furia di pensare di scimmiottare Churchill si perde il senso della realtà.

Lasciando da parte la comunicazione e venendo alla politica, la situazione non migliora affatto. Dopo aver lasciato che per giorni i media anticipassero un rilassamento del restringimento delle libertà personali, si è precipitati nell’esatto contrario. E il tutto sulla base del solito DPCM, cioè di un atto amministrativo del solo premier, che evita un qualsiasi confronto con quel parlamento che, vorremmo ricordarlo, è l’unico organo che rappresenta la sovranità del popolo. Sarà anche un parlamento poco entusiasmante, ma questo rimane. Il governo non ha investitura popolare, se non in via indiretta tramite il parlamento, che appunto deve essere costantemente mantenuto in grado di dargliela o di ritirarla. Il semipresidenzialismo morbido o il cancellierato non esistono nel nostro sistema, e Giuseppe Conte non può neppure appellarsi alla legittimazione popolare indiretta che gli sarebbe potuta venire se avesse vinto delle elezioni come capo di una coalizione che si candidava a governare (quello che accadde per esempio con Prodi e con Berlusconi).

Indifferente a questi rilievi costituzionali, il premier ha continuato sulla via rischiosa dell’uomo solo al comando, facendosi schermo di comitati di “esperti” che però non hanno alcun potere di dettare norme per modificare il quadro costituzionale. Tanto per capirci, prendiamo la questione del divieto di celebrazione delle Messe (ma vorremmo aggiungere anche delle cerimonie religiose degli altri culti riconosciuti che sono egualmente tutelati). Conte, per coprire la sua gaffe, ha detto di essersi arreso al potere degli epidemiologi che gli prospettavano picchi di contagi se si consentivano le Messe. Una corretta gestione di questa informazione sarebbe stata quella di chiedere alle autorità religiose se esse, in rappresentanza dei loro fedeli, potevano acconsentire a gestire la situazione in maniera da far fronte a questi rilievi. Si può chiedere per ragioni superiori di esplorare una rimodulazione dei diritti costituzionali solo rispettando i passaggi previsti: cioè un confronto con i detentori dei diritti e col parlamento. Farlo per via di annunci in conferenza stampa sulla base di atti amministrativi autocratici lascia basiti.

Sui pasticci del DPCM c’è ormai un florilegio di prese di posizione, dove per la verità si finisce di raccogliere anche interventi che non ci si aspetterebbe. Tanto per dire, la ministra De Micheli si è buttata a spiegare che nelle seconde case non si poteva andare perché lo impediva un decreto del ministro Speranza del 20 marzo, senza accorgersi che era scaduto e che il nuovo testo, pasticciando fra residenze, domicili e abitazioni, aveva creato solo confusione (a prescindere da un altro provvedimento che invece dava possibilità di accedere alle seconde case per la manutenzione di orti e giardini).

I tecnici fanno notare che ormai ci sono una trentina di provvedimenti, più una pletora di ordinanze (a cui si aggiungono quelle a livello regionale e comunale), insomma un caos in cui non si riesce ad orientarsi. Il dramma poi è che la stessa confusione e impreparazione alla gestione si riscontra sul fronte degli interventi economici, molto annunciati ma assai poco realizzati. Lo scontento per questo andazzo è generale e la popolarità di Conte rilevata nei sondaggi risulta difficile da capire, anche perché cozza con l’adesione che quegli stessi intervistati danno ai partiti che o sono duramente critici o molto perplessi sul suo operato.

E’ vero che la maggior parte dei commentatori concordano sul fatto che al momento al governo Conte non ci sono alternative possibili, sia per come è formato il parlamento (i numeri derivano ancora dalle elezioni del marzo 2018, cioè tenute in un’altra era geologica), sia per la mancanza di successori in grado di imporsi. Però questa è una solidità solo apparente. Quando ci si basa sull’argomento del “purtroppo non possiamo avere di meglio” un equilibrio politico non è in buona salute. E soprattutto non può durare a lungo, con tutti i rischi che si corrono quando invece di affrontare un problema lo si lascia marcire.

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