Fra i tre quattro princìpi che ci ha lasciato papa Francesco in Evangelii Gaudium, uno è più citato degli altri negli ambienti ecclesiali: “La realtà è superiore all’idea”. Perché anche nella vita parrocchiale è facile perdersi in “elaborazioni concettuali” staccate dai dati di fatto, dalle situazioni concrete. E si scopre invece che proprio la realtà “illuminata dal ragionamento” ci offre spunti, stimoli e soluzioni che anticipano architetture pastorali. Lo sperimenta nel Perginese il vescovo Lauro che ripete in questi giorni di aver visitato comunità che già vivono progetti futuribili.
Il tema in questione sarà sempre cruciale per una Chiesa che vive su un territorio frastagliato e disperso come quello trentino: come assicurare un presente e un futuro ecclesiale a piccoli paesi che vanno svuotandosi per lo sboom demografico e scontano le conseguenze del crollo vocazionale? Fin dagli anni Novanta, quando il compianto sociologo Giuseppe Capraro, trentino d’adozione, lanciò per primo a livello nazionale la formula delle Unità pastorali (collaborazioni di più parrocchie affidate a gruppi di sacerdoti che vivono in fraternità), dobbiamo riconoscere che il Trentino si è confermato terra di sperimentazioni, “osservate” costantemente anche da fuori Diocesi. Non è un caso che all’ultimo incontro dei vescovi della CEI che condividono il problema delle cosiddette Aree Interne del Paese – quelle più spopolate e sfavorite nelle risorse – sia stata ascoltata e ritenuta interessante l’esperienza di Fiemme.
Don Albino Dell’Eva, evidenziando che nella fusione di tante piccole parrocchie l’unità burocratico-amministrativa era di servizio all’unità pastorale, ha sottolineato che il percorso realizzato si era basato sul principio che “a nessuna comunità dovrebbe mancare il necessario per l’animazione della vita cristiana” e quindi “il forte deve sostenere il debole” cosicché “il bene non sia diviso, ma condiviso”. Nel Perginese – dove don Antonio Brugnara oggi si trova a coordinare 26 parrocchie – mons. Tisi è rimasto edificato in queste settimane dalla vivacità con cui tanti piccoli paesi e frazioni sentono e vivono la loro identità (nel numero scorso abbiamo raccontato Canezza, Zivignago e Ischia), inventandosi momenti comuni per irrobustire un’appartenenza e non perdere l’abitudine a “rimanere”.
Ancora più proficua si è rivelata l’immersione nelle tre “comunità sorelle” di Canale, Santa Caterina e San Vito dove la forte coesione della singola frazione ha consentito di alimentare la propria vita cristiana, ma anche di vivere una volta al mese insieme una celebrazione eucaristica: “Lavorando insieme da qualche anno – ha riassunto mercoledì sera il portavoce Antonio Miotello alla riunione dei Comitati e dei Consigli del Perginese – si possono custodire nel tempo anche i servizi dei cori, gli incontri “sulla Tua Parola”, il servizio ai poveri, la visita agli ammalati con il prezioso servizio dei ministri straordinari dell’eucarestia, il gruppo giovani (NOI oratori)”. Tanto che la recente celebrazione ha lasciato il segno: “Alla porta della chiesa o subito dentro abbiamo trovato l’accoglienza e il saluto del Vescovo che passava tra i banchi a stringere le mani. Il volto e le storie delle persone povere e ammalate che abitano tra noi sono state subito messe al centro.
Il Vescovo le aveva visitate insieme a don Antonio e non è mancata la guida dei ministri straordinari dell’Eucaristia. I cori hanno continuato ad offrire il loro servizio insieme ai lettori, ai chierichetti e la chiesa era piena di fiori con l’autunno che non ha fatto certo mancare la varietà di colori. Ancora una volta le preghiere sono state preparate dalla comunità. E il grazie conclusivo a chi ha offerto il proprio contributo alla celebrazione e lo scambio conviviale nel sagrato della chiesa, senza la fretta di scappare via”.
In questo racconto c’è anticipata la fotografia di quei “fuochi eucaristici”, in cui vivere insieme alla domenica la Messa convergendo da comunità limitrofe, un modello che l’Arcivescovo ha visto realizzato in queste alcune realtà perginesi e che in Avvento presenterà nelle sue motivate articolazioni in una Lettera alla Diocesi. Il Pane spezzato la domenica rimane il principale momento generativo di comunità: ci si ritrova anche fisicamente insieme, superando solitudine e autoreferenzialità. Un salto di qualità e di prospettiva è richiesto: non è una comunità che “ospita le altre, ma tutte costruiscono un’unica assemblea”, riscoprendo il dono dell’Eucaristia.
Nei prossimi mesi mons. Tisi, facendo tesoro del confronto avviato, dettaglierà altre caratteristiche dei “fuochi”, ma ai preti trentini mercoledì primo ottobre ha già evidenziato l’importanza di curare l’azione pastorale delle più piccole realtà mettendo al centro la Parola di Dio; “proporrò che in ogni comunità, dove l’Eucaristia domenicale non è assicurata, si preveda come priorità almeno un momento settimanale di convocazione attorno alla Parola”. Un passaggio che favorirà l’esperienza dei “fuochi eucaristici”, facendo crescere anche le realtà piccole: “Cinque pani e due pesci sono poca cosa ma quando li metti a servizio dei più il Signore moltiplica per tutti”, osservava un parrocchiano l’altra sera a Pergine.