Api a mezzo servizio

Portare arnie nei frutteti e poi ricorrere al diradamento. Un esperto spiega i motivi e propone l’interruzione a metà fioritura dell’attività delle api mediante rete monofilare

“I frutticoltori del consorzio irriguo di Tassullo si sono riuniti presso l’oratorio di Nanno per discutere i loro problemi. Un tecnico dell’Ispettorato provinciale dell’agricoltura ha illustrato loro la meccanica dell’impollinazione delle piante da frutto. Ha spiegato che l’impollinazione è la premessa indispensabile per avere frutti e ha quindi insistito per convincere i presenti ad affidare la delicatissima mansione all’insetto impollinatore per eccellenza: l’ape. E’ stata però auspicata dai presenti l’opportunità che in questo esperimento intervenissero gli assessorati all’agricoltura regionale e provinciale, onde assicurare il loro apporto quantificato in 1,5 milioni di lire corrispondenti al 50% della spesa presunta. Nei giorni successivi il messaggio è stato fatto passare casa per casa. A conclusione il 99% dei frutticoltori delle Quattro Ville si sono impegnati per iscritto ad adottare il servizio di impollinazione con circa 300 alveari. In particolare nel contratto sottoscritto erano contenute le disposizioni per evitare trattamenti antiparassitari dannosi alle api durante la fioritura”.

Non è cronaca di ieri, ma di quasi 50 anni fa (Terra Trentina n°2, marzo-aprile 1971).

Quest’anno (2015), dice un tecnico della Fondazione Mach che opera in Val di Non, nei 7 mila ettari di frutteto si calcola siano presenti 14 mila arnie (2 per ettaro) in parte stanziali o portate da apicoltori locali, in prevalenza prese in affitto da altre provincie o regioni per iniziativa di cooperative ortofrutticole di Melinda o di consorzi di miglioramento fondiario e/o irrigui.

L’impollinazione incrociata è oggi più necessaria di mezzo secolo fa perché i frutteti costituiti da più di una varietà sono stati sostituiti da impianti mono varietali. Arnie di api si collocano anche sotto le piante di ciliegio specializzato (8-12 per ettaro) e nei frutteti di actinidia (kiwi).

Essendo quest’ultima specie dioica (fiori maschili e femminili portati su piante diverse) essa non dà frutti se non è fatta oggetto di impollinazione mediante trasferimento manuale del polline dai fiori maschili a quelli femminili, provocando la movimentazione dell’aria e del polline nell’interfilare passando con l’atomizzatore o portando arnie di api adeguatamente preparate.

L’impollinazione delle piante da frutto avviene anche per opera di altre specie di insetti chiamati pronubi. Per assicurare l’impollinazione dei piccoli frutti si possono acquistare bombus allevati in centri specializzati che vengono poi liberati sotto i tunnel di coltivazione. Sono possibili danni alle api provocati da fitofarmaci incautamente o improvvidamente impiegati o caduti per deriva su piante erbacee fiorite sottostanti non coperte prima dell’intervento. Qui però vogliamo focalizzare l’attenzione sul diradamento meccanico, chimico e/o manuale che si esegue, almeno nei frutteti di melo,in tutto il Trentino, nonostante l’avvenuta opera impollinatrice delle api.

Il dirado meccanico (si flagellano i fiori con una frusta movimentata da mezzo a motore) è poco praticato, perché non ci sono o sono pochi i frutteti allevati a spalliera verticale per rendere fisicamente possibile l’esposizione dei fiori alla scudisciata.

Lo afferma con cognizione di causa Alberto Dorigoni, tecnologo sperimentatore della Fondazione Mach che coordina i lavori di agrotecnica nei due frutteti sperimentali di Maso Parti (Mezzolombardo) e Maso Maiano (Cles).

Il dirado chimico, dice l’esperto, è praticato dall’80% dei frutticoltori che spesso devono intervenire anche successivamente con prodotti chimici o col dirado manuale quando il carico di frutti risulta eccessivo. Una lettera circolare diffusa all’ inizio di aprile dal Centro per il trasferimento tecnologico della Fondazione Mach (“Diradamento chimico del melo”) elenca i positivi effetti

dell’operazione. Essa garantisce un buon ritorno a fiore per l’anno successivo, evita l’ alternanza, limita tardivi e onerosi interventi correttivi di diradamento manuale. Il foglio riporta nel dettaglio una aggiornatissima strategia di diradamento chimico nella quale il frutticoltore trova tutte le scelte possibili e le osservazioni propedeutiche necessarie per ottenere l’effetto desiderato: un giusto carico di mele, possibilmente di pezzatura corrispondente ai parametri imposti dalle norme commerciali. Va anche tenuto presente che l’effetto del dirado può essere condizionato dall’andamento climatico contestuale o successivo all’intervento.

Lasciamo per ultimo il paradosso scientifico più innovativo che Alberto Dorigoni dopo qualche anno di prove propone almeno per i frutteti allevati a parete verticale. Il metodo consiste nel predisporre sulla fila delle piante di melo una rete di plastica a maglie sottili che va abbassata, cioè distesa sui fianchi del filare, in una determinata, quanto puntuale, fase della fioritura. La rete ha lo scopo di interrompere l’attività impollinatrice delle api ritenuta utile fino a quando esse hanno fecondato i due fiori centrali di ogni mazzetto. La rete serve anche per ombreggiare le mele e provocare la cascola delle più deboli, ma anche per proteggere le mele dalla grandine o per impedire l’ingresso delle farfalline generatrici del verme delle mele.

Api a mezzo servizio dunque, per assicurare l’allegagione di 100 fiori per pianta ed altrettanti frutti da 200 grammi che con circa 3.300 piante ad ettaro e 750 mazzetti fiorali presenti sulle singole piante danno un carico finale di 700 quintali di mele commerciali ad ettaro.

I dettagli gli interessati li possono avere visitando il sito della Fondazione Mach.

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