Giorgio Balducci, regista di montagna

È un abile comunicatore, esperto del linguaggio delle immagini, che coordina e “firma” la realizzazione di film e documentari. Il regista “solo” di montagna è figura rara, ma numerosi professionisti dell’immagine si sono specializzati, per competenza e passione, nell’ambiente montano. Registrano o rievocano le grandi spedizioni, documentano un particolare ambiente naturale, raccontano una storia inventata dentro un paesaggio alpino. Trento, la più antica sede di un Filmfestival della montagna, da oltre cinquant’anni è la capitale di questo genere cinematografico: ogni anno vi s’incontrano con le loro opere i più grandi registi di tutto il mondo.

Balducci, ma lei si occupa come regista solo di montagna?

Dire regista è una parola grossa, che vale per tanti maestri del cinema, non per me. Mi sento più un realizzatore, ovvero una persona che parte da un’idea, spesso da una curiosità, ci studia, la
approfondisce, la racconta. Non da solo però, con l’aiuto di un operatore, di un assistente, di un fonico… è un lavoro di squadra.

Quanto conta il montaggio, il lavoro dopo le riprese?

Molto. Si girano tante immagini e poi bisogna scegliere, metterle in fila con coerenza. La bravura è saper costruire un bel racconto. Un documentario, poi, non è un articolo illustrato, sono le immagini che dovrebbero parlare da sole.

Com’è nata la sua passione?

Io sono cresciuto con la radio. M’interessavo nel 1976 soprattutto di musica nelle prime collaborazioni con la Rai. La musica è fantasia, un linguaggio che tutti comprendono e che unisce le persone. Allo stesso modo, la montagna, che pure richiede lo stesso incanto nel guardare le cose.

Cosa le piace della montagna?

La montagna o le montagne? Il grande scultore Mauro Corona ama dire: le montagne sono tutte uguali, han tutte una cima e una base. E il dolore del mondo è tutto uguale. La montagna – per usare un’espressione molto pomposa – è una grande metafora della vita. La rappresenta. Anche la vita non è sempre facile… La montagna è luci e ombre. Il turismo dalla fine dell’Ottocento ne ha frenato l’abbandono, ma l’ha privata di qualcosa. Dovrebbero esserci altri valori aldilà del denaro…

Le è mai capitato durante un servizio in montagna di incontrare un pericolo?

Ti capita di metterti nei pericoli quando non pensi a quello che fai, non pensi ad avere paura. Non dobbiamo sentirci eroi, devi capire che la paura fa parte di te. La montagna è vera, il cinema
è finzione… Vale anche per il cinema di montagna. Si usano tecniche e trucchi particolari. Quando riprendo una scalata, so bene che un particolare posso riprodurlo in un altro ambiente. Non
è detto che venga girato nello stesso luogo. Per una biografia di Sergio Martini, ad esempio, abbiamo ricostruito al passo dello Stelvio una situazione in tenda relativa all’Everest.

S’arrabbia quando vede un errore alla tv a proposito di monti?

Lo scorso anno ho protestato quando hanno detto che Everest e K 2 si trovano vicini fra loro. “Beh, sempre montagne sono…”mi han risposto.

Lei ha mai fatto un errore?

Eccome no, per fortuna. Si fanno tanti errori, ma anche a scuola capita, o no? Più impari, meno errori fai.

Come si fa a filmare un albero che ti cade addosso o una valanga?

Nel caso delle valanghe, quando vengono auto provocate per poterle filmare in ambienti sicuri, c’è un bunker di cemento armato enorme dentro al quale viene messa la telecamera azionata a distanza. Ma lì sotto non c’è nessuno…

Chi è il tuo idolo fra i registi di montagna?

È un signore tedesco, Gerard Baur, ancora in attività. È stato un grande alpinista, sa raccontarti il dialogo fra l’uomo e la montagna.

Lei è nella commissione selezionatrice del Filmfestival: cosa vede?

Ho imparato molto nell’assistere a tante pellicole che vengono da tutto il mondo. Da qualche anno si punta sui film a soggetto, su storie da raccontare. Meno invece sulle spedizioni, che spesso sono noiose o troppo condizionate dagli sponsor che han pagato il viaggio.

Quale consiglio darebbe ad un aspirante regista, oggi che le videocamere sono così diffuse?

Prima di tutto non prendere in mano una videocamera e iniziare a girare di tutto all’impazzata. Piuttosto studiare tanto, vedere tanti film, magari anche chiedere a chi ha esperienza. Anzi, sarebbe bello ci fosse qui a Trento un qualcosa per introdurre i giovani a questo mondo…

Intervista realizzata dalla classe prima 1 A della scuola media “Salesiani” di Trento

La scheda:

Nome: Giorgio
Cognome: Balducci
Segni particolari: Regista giornalista in Rai realizza filmati e documentari in montagna

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