L’alpinista Heinz Steinkötter

Non sono molti i professionisti a tempo pieno, ovvero gli alpinisti che vivono soltanto delle proprie imprese. Solitamente mentre programma una spedizione, l’alpinista esercita altre attività (guida alpina, rifugista, …). Non si dedica solo all’allenamento costante, ma anche agli sponsor, alle serate di documentazione, al sito web. Servono motivazioni, preparazione, attrezzatura, coscienza dei limiti, capacità di rinuncia. Vale anche per gli alpinisti della domenica. La SAT (Società Alpinista Tridentini), che oggi conta su 22 mila soci, è dal 1872 il punto di riferimento per l’alpinismo trentino.

Heinz, da dove nasce la sua passione per l’alpinismo?

All’età di 9 anni, in Svizzera, vidi le bellissime montagne che si specchiavano nelle acque della sorgente del Reno; da qui è nata una passione che ho portato avanti con il costante allenamento, aiutato dai consigli dei miei maestri che poi sono diventati amici di scalata.

Quante montagne ha scalato?

Un’infinità, circa un migliaio. Fortunatamente da giovane tenevo un diario, che ora aiuta la mia memoria a ricordare tutte le montagne con cui mi sono misurato.

Scala ancora?

Le mie scalate sono ora diventate delle camminate sui sentieri, sempre però con l’obiettivo di raggiungere una cima. Nella vita c’è un tempo per ogni cosa; si comincia fin da piccoli a salire sulle proprie “montagne” che si possono scalare anche con l’anima, avvicinando lo spirito al nostro Creatore.

Qual è secondo lei la cima più bella?

Una domanda che mi hanno fatto in tanti, ma a cui trovo sempre in difficoltà a rispondere. Le montagne sono tutte belle, proprio perché vissute in momenti differenti della propria vita, affascinano sempre in maniera differente. Definisco però l’Ortles il mio grande amore.

E la quota massima raggiunta?

Ricordo le salite sul Broadpeek in Karakorum e sul Nanga Parbat in Pakistan. Entrambe le vette si innalzano oltre gli 8 mila metri, ma per il maltempo e la paura delle valanghe non andammo oltre i 7 mila.

Che pericoli nasconde la montagna?

Ce ne sono molti; il pericolo maggiore è quello delle frane o delle cadute di sassi, che possono essere causate anche dagli altri scalatori. Per questo gli alpinisti dovrebbero sempre indossare sempre il casco. L’insidia viene poi anche dal cielo: fulmini e temporali possono cogliere di sorpresa anche i più esperti. Ultimo, ma non meno importante, il pericolo interiore, psicologico che talvolta spinge lo scalatore a sopravvalutare le sue capacità.

Ha paura dei fulmini e temporali?

Vanno temuti, perché non si possono scansare. Tuttavia, attraverso i segni che si colgono con l’esperienza o con il barometro, un alpinista sa stabilire con più o meno precisione quando potrà piovere. Nonostante la possibilità di prevedere questi eventi naturali, sono stato colpito 2 volte da un fulmine, fortunatamente di striscio.

La paura può insegnare?

Certamente, è prima di tutto un buon segnale per valutare la propria preparazione. Mi è capitato di tornare al punto di partenza dopo aver fatto 1400 metri di scalata con appena 20 che mi separavano dalla vetta. Ho riflettuto e per timore di cadere ho rinunciato a proseguire.

Cosa ha imparato in quasi 60 di alpinismo dalla montagna?

È una domanda profonda. La montagna insegna prima di tutto ad amare tutto ciò che ci circonda e che Dio ha fatto per noi. Ho imparato ad essere umile; se qualcuno mi definisce un grande scalatore la cosa mi fa ridere. L’alpinista non è un eroe leggendario che conquista la montagna ma la deve vedere come un’amica da rispettare. Ho imparato a condividere le mie scalate con altre persone, nuovi amici su cui contare e da aiutare in caso di pericolo. La montagna mi ha fatto capire infine come fosse il caso di rinunciare a cose che prima ritenevo attraenti come alcol e fumo.

Cosa si prova durante un’ascesa?

Le sensazioni più disparate: dalla paura di cadere, alla solitudine, ma anche la consapevolezza di avere un’opportunità unica di cogliere la profondità e la bellezza della natura.

Si è mai fatto male?

Si, in una caduta di 10 metri, mentre mi cimentavo con una montagna della Germania. Era una scalata molto difficile e mi ero preparato con grande impegno per affrontarla; è bastata però una piccola distrazione per farmi perdere l’equilibrio. Fortunatamente me la sono cavata solamente con qualche livido.

Un’ultima curiosità: ha mai scalato con i suoi figli?

Si, sono andato spesso a fare delle escursioni con i miei figli, Andrea e Lionel. Ricordo che una volta, uno di loro non indossava il casco e allora gli prestai il mio, per paura che si facesse male. Poco dopo un sasso grande come un pugno lo sfiorò, cadendo mezzo metro da lui. Ci guardammo intensamente, ed entrambi sapevamo il perché.

Carta d’identità:

Nome: Heinrich “Heinz”

Cognome: Steinkötter

Segni particolari: 67 anni, alpinista. Ha scritto “La montagna del vecchio Heinz”.

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