Giorgia Meloni alla ricerca di una politica estera

Giorgia Meloni. Foto Presidenza del Consiglio dei ministri

Giorgia Meloni prosegue nella sua opera di consolidamento. Consapevole che non è con le bandierine populiste che ci si conferma nella leadership, lavora per darsi una statura di personalità di governo e punta sulla politica estera. Così sembra a vedere quel che ha fatto nei giorni scorsi, poi su quel terreno quel che veramente conta è la silenziosa perseveranza e vedremo se ne sarà capace.
Intanto però non c’è dubbio che la sua mossa di puntare sull’Africa, via Algeria, per guadagnare uno standard internazionale sia interessante.

Intendiamoci, non è che sin qui non si sia mai percorsa quella via, è che si erano prese traiettorie poco fruttuose. Si ricorderà infatti che da lungo tempo la nostra ossessione come paese era la Libia, nostra ex colonia, ma senza che vi avessimo lasciato buone radici. Prima si è provato con Gheddafi, poi, fatto cadere rovinosamente quello dai nostri concorrenti franco-britannici, si è continuato cercando di essere il punto di riferimento di una ricostruzione statuale naufragata nel caos di un sistema di lotte tribali.

Sembrava si fosse lasciato perdere, salvo qualche sporadica puntata in Tunisia sull’onda delle primavere arabe e nel tentativo di contenere l’immigrazione clandestina, ma per ora su quel fronte i risultati sono stati modesti. Adesso si punta sull’Algeria, un attore non semplice da maneggiare.

Meloni continua su una strada che era già stata aperta da Draghi in collaborazione con l’ENI, da sempre una sorta di sede parallela della nostra politica estera. Lo fa con trombe e fanfare, ma questo è comune a tutti i governi e ancor più a tutti i leader che si devono accreditare.

Adesso punta sul gas come al tempo degli affari libici si era puntato sul petrolio, ma è un segno dei tempi che spostano la centralità fra le diverse fonti energetiche. Si presenta però, e questa è una novità relativa (anche qui in continuità con una intuizione di Draghi), come interessata ad offrire un servizio all’Europa assicurando che l’incremento di forniture del gas algerino viene perseguito anche con la prospettiva di farlo arrivare in Italia perché poi venga distribuito in Europa (quello che viene definito come un hub energetico).

È un disegno intelligente e ambizioso e le critiche pregiudiziali della stampa che è ostile per principio alla nuova maggioranza sono tra lo strumentale e l’isterico più che essere razionali. Passare all’opposto a sostenere che basta questo episodio per promuovere la premier a nuovo statista del futuro è per ora eccessivo. Una politica estera ambiziosa ha bisogno di tempo e soprattutto dovremo vedere le reazioni dei nostri competitor internazionali che non sono ciechi e sanno bene dove si può andare a parare.

L’Algeria ha rapporti storici, per quanto travagliati, con la Francia e in questo momento ha accordi piuttosto importanti con la Russia che ha una sua invasiva politica africana. Poi c’è la Germania che non sembra cessare dal disegno di ristabilire il suo rapporto pacifico col gas russo che può continuare ad arrivare lì a costi minori (ecco perché Berlino è resistente a spingere a fondo nel conflitto fra Ucraina e Putin).

A questo punto sarebbe bene che l’attuale premier tenesse in considerazione alcuni fattori che legano l’azione internazionale al quadro di politica interna. Il primo punto, anche se non sembra, è che deve dar prova di abbandono del sovranismo straccione nella difesa di corporazioni arretrate. La vicenda dei balneari è emblematica ed offre un facile argomento per essere attaccati in sede UE dai nostri critici più o meno interessati. Il secondo punto è la stabilizzazione dell’equilibrio interno, dove è necessario abbandonare la logica del “abbiamo vinto noi e tocca a noi dividerci le spoglie” e capire che un sistema politico si regge anche con l’instaurazione di un rapporto dialettico ma costruttivo con le opposizioni.

Certo non è facile con un certo vento neogiacobino che spira da quelle parti, le quali sono anche a loro volta condizionate da non poche corporazioni che non ne vogliono sapere di perdere i loro privilegi. Un grande disegno di politica estera deve essere capace di coinvolgere tutto il paese.

Infine la premier deve trovare il modo di mettere un po’ d’ordine nelle sue file, sia contenendo i protagonismi dei leader alleati che pensano di ridimensionarla, se non addirittura di sostituirla in prospettiva, sia marginalizzando la congerie di personaggi politici, sottopolitici e mediatici che cercano di costruirsi rendite di posizione sfruttando spregiudicatamente presunte “svolte storiche” tutte da dimostrare.

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