Una partita difficile

Quella che stanno giocando i partiti oggi è una partita estremamente complicata, perché per tanti versi è una sfida di tutti contro tutti e per altri è la ricerca difficile di sistemi di alleanze che devono di necessità coinvolgere i propri nemici.

Sono state elezioni in cui alcuni hanno guadagnato (Cinque Stelle e Lega), altri hanno perso (FI, PD, LeU), uno è rimasto in mezzo al guado (Fratelli d’Italia che non ha perso, ma neppure guadagnato), ma nessuno ha davvero vinto. Così non c’è via d’uscita dallo stallo se non trovando un accordo fra uno che ha guadagnato e uno o più altri perdenti. Certo in teoria si potrebbe anche prospettare l’accordo fra i due che hanno guadagnato, non fosse che si tratterebbe di una tregua da siglare in modo che nessuno dei due ci rimetta, in attesa di riprendere il confronto al più presto possibile. E’ una prospettiva molto nebulosa.

Al momento i due che hanno guadagnato sembrano accordarsi solo per poter consolidare la rispettiva immagine ed è quello che avverrebbe se uno si intestasse la presidenza della Camera e l’altro quella del Senato. Questa sarebbe una soluzione facile, non fosse che bisogna inserirla in un contesto che in qualche misura almeno non isoli troppo i due contraenti coalizzando contro di loro tutti gli altri. Dunque anche per quella soluzione qualche intesa che vada oltre i rispettivi recinti va trovata.

Di Maio e Salvini ci lavorano, ma siccome per entrambi è preminente non rinunciare al centro della scena, siamo ancora al livello della rappresentazione a pro del grande pubblico. Come si stringerà lo si vedrà a partire da venerdì. E’ sperabile che quanto meno i due trovino un punto di mediazione intendendosi su personalità in grado di rappresentare un allentamento delle tensioni dovute agli scontri a base di slogan che sinora non hanno davvero portato bene al paese in termini di credibilità sia internazionale sia verso i cittadini. E la credibilità è un bene prezioso.

Poi verrà il momento in cui non si potrà eludere la questione del governo. Qui i giochi sono più chiari, perché in sostanza, se non si vuole andare al governo di tregua, che entrambi non gradiscono, sia Di Maio che Salvini bisogna che riescano a tirare il PD dalla propria parte. Ciascuno lo sta facendo agitando davanti a quel partito lo spettro di cosa succederebbe se fossero costretti a mettersi d’accordo fra loro per varare a due un governo più o meno provvisorio (nella sostanza, ovviamente, perché formalmente nessun governo può essere a scadenza).

I Cinque Stelle sono avvantaggiati dal fatto che basterebbe fare un duetto: loro più il PD sarebbero già maggioranza, ma hanno il problema di non voler dare niente in cambio di questo abbraccio (almeno niente di pubblico e visibile). Salvini è messo peggio, perché deve tirarsi dietro Berlusconi e la Meloni, in quanto solo come coalizione ha a disposizione la base di voti per costruire poi una maggioranza. Per di più ha l’handicap di essere una forza spudoratamente di destra, per cui non si vede come il PD potrebbe giustificare un via libera al governo della coalizione che guida. Potrebbe in teoria farsi momentaneamente da parte, lasciare spazio ad una guida moderata in modo da agevolare la proposta di un appoggio esterno ad un centrodestra che si impegna a lasciar perdere le rodomontate elettorali. Finirebbe però per perdere il centro della scena ed avrebbe difficoltà a riconquistarlo nelle elezioni che, inevitabilmente, non tarderanno troppo ad arrivare.

Messa così è una situazione che si presenta come un labirinto pieno di trappole per tutti. Per uscirne è ormai evidente che deve intervenire qualche fattore esterno che giustifichi un cambiamento delle posizioni. E’ questo che preoccupa, perché quel che sarebbe il classico deus ex machina, cioè il fenomeno dell’illusionismo teatrale, rischia di essere un elemento poco piacevole: una crisi economica o una pressione internazionale o tutte e due insieme, cioè cose di cui c’è da augurarsi si possa fare a meno.

Si guarda con speranza alla gestione della crisi che può fare Mattarella, ma è bene essere consapevoli che i suoi margini di azione sono ridotti, perché non può né cambiare gli equilibri usciti dalle urne, né cambiare la testa degli attori politici in campo. Può far leva sul sentimento di stanchezza che salirà dal paese se i partiti si mostreranno inconcludenti, ma a patto che quello non si traduca ancora di più in un risentimento irrazionale verso le istituzioni.

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