L’etno-archeologa di montagna Marta Bazzanella

Vasi, frammenti, ossa, punta di frecce. Ogni reperto è fondamentale per ricostruire il grande puzzle del passato, per l’etno-archeologa di montagna Marta Bazzanella, intervistata dai ragazzi della classe 1a B della scuola media dell’Istituto Sacro Cuore di Trento.

Marta, qual è la sua professione?

Lavoro come etno-archeologa per il Museo degli Usi e costumi di San Michele all’Adige, una professione molto interessante che mi porta di continuo ad essere stimolata nella ricerca e nell’interpretazione del passato.

Che caratteristiche deve possedere un archeologo?

Due su tutte: curiosità e pazienza. È un lavoro simile a quello dell’investigatore; l’archeologo si pone di continuo delle domande, sapendo già che le risposte possono cambiare da una scoperta all’altra. Di certo questa professione necessita di una lunga preparazione, a cominciare dagli studi universitari.

Da quanti anni fa l’archeologa? In quale settore è specializzata?

Dal 1991, subito dopo aver terminato gli studi. Le specializzazioni sono molte; io mi occupo di archeologia preistorica, di popolazioni che ancora non conoscevano l’uso della scrittura. Le testimonianze che si trovano sono quindi di natura principalmente materiale. Altri “colleghi” si interessano ad esempio al periodo romani o medioevale, alcuni invece si occupano di etnologia.

Ha mai lavorato fuori dall’Italia?

Ceto, ad esempio in equipe in Francia e Svizzera; tuttavia ho un sogno nel cassetto, quello di poter visitare l’Egitto e, chissà, effettuare uno scavo.

A cosa sta lavorando ora?

Per conto del Museo stiamo analizzando le scritte dei pastori datate dal 1700 al 1900, sul Monte Cornon in val di Fiemme, vicino agli abitati di Ziano, Panchià e Tesero. Si tratta di un progetto etno-archeologico; l’obiettivo è infatti quello di interpretare le pitture rupestri presenti lungo tutto l’arco alpino, partendo dall’analisi delle culture tradizionali alpine più vicine ai nostri giorni.

Ha mai trovato dei reperti importanti?

Tutte le scoperte sono importanti. Ogni oggetto, grande o piccolo che sia, ha il suo valore, in quanto contribuisce ad aggiungere un tassello nella ricostruzione del grande puzzle del passato. Personalmente, mi ha emozionato particolarmente la scoperta di una spatola in osso di epoca mesolitica – 9 mila anni fa – usata per togliere le squame i pesci.

Quali sono i suoi strumenti di lavoro?

Sono molti, con differenti funzioni. Si va dagli strumenti per lo scavo – badili e piccozze, ma anche cazzuole e strumenti per mettere in evidenza piccoli oggetti – al materiale che serve a documentare la scoperta: macchina fotografica, riferimento metrico e strumenti da disegno.

Quali sono le fasi di uno scavo?

Si procede innanzitutto a sezionare il terreno verticalmente, procedendo per piccoli tagli. La terra che si sposta è tenuta da parte e viene setacciata. Una volta rinvenuto il reperto si procede ad una complessa fase di analisi, che solitamente si svolge in laboratorio; le informazioni derivate dalla scoperta vengono messe in relazione con quelle già presenti negli archivi. Al reperto deve essere data una collocazione storica. Per la datazione, le tecniche più utilizzate sono quelle del Carbonio14 e della dendrocronologia.

In che ambiente preferisce lavorare?

In montagna l’archeologo si trova di fronte a difficoltà di accesso e di logistica, come ad esempio quella di trovare una sorgente d’acqua. Uno scavo in quota può durare anche qualche giorno e ciò comporta il dormire in tenda, in balia degli agenti atmosferici. Anche uno scavo in ambito cittadino però può riservare degli inconvenienti. Ad esempio molti reperti – dai vasi ad intere tombe – si trovano nei cantieri edili; in questi casi siamo costretti a prelevare in tutta fretta l’intero blocco di terra per non intralciare i lavori e scavarlo in laboratorio. Anche sull’archeologo pesa quindi la pressione del mondo economico.

Qual è stato il primo reperto che ha portato alla luce? E l’ultimo?

Il primo oggetto è stato una punta di freccia mesolitica, il microlite pur essendo di ridottissime dimensioni, portava gli evidenti segni della lavorazione dell’uomo. L’ultimo ritrovamento, sul Monte Cornon, è stata una moneta del 1853.

Colleziona i suoi reperti?

No, l’archeologo non è mai un collezionista. Per poter svolgere al meglio questa professione bisogna staccarsi dal valore, dalla bellezza dell’oggetto, “sacrificandoli” al suo interesse scientifico.

Ha mai rinvenuto oggetti preziosi, in oro?

Visto il periodo storico a cui mi interesso, gli oggetti in oro sono piuttosto scarsi. Il valore degli oggetti è tuttavia relativo e va confrontato con l’epoca a cui si riferisce. Ad esempio, da dagli scavi eseguiti nella nostra provincia, ho riportato alla luce delle perline in conchiglia di colombella rustica, provenienti dal Mar Mediterraneo. Esse erano utilizzate come elemento di scambio per procurarsi merci quali il sale o la selce. Potete quindi immaginare la grandissima importanza che rivestivano per i popoli di allora.

intervista della 1a B, scuola media dell’Istituto Sacro Cuore di Trento


La scheda: 

Nome: Marta

Cognome: Bazzanella

Attività: etno-archeologa, lavora per il Museo degli Usi e Costumi della Gente Trentina di San Michele. Ha condotto scavi anche in Francia e Svizzera

Segni particolari: in questo periodo è impegnata nello studio sulle scritte dei pastori lasciate sul Monte Cornon, in Val di Fiemme.

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