Da quattro secoli ai piedi del Garzolet

Il grande leccio di Sarche di Calavino è il patriarca della valle, raro nella specie per vetustà e portamento

Sarche di Calavino – Uno dei più settentrionali dello Stivale, insieme a pochissimi altri della sua specie. Ce ne sono di notevoli dimensioni, ma questo merita davvero l’appellativo di “monumento vegetale”. Non distante dalle nevi eterne, addentrato nella Valle del Sarca, sulle selvagge pendici meglio esposte al sole, ammantate di platani, cipressi, tassodi, e accarezzate dall’Ora, il vento che spira dal lago di Garda. Ai piedi del Monte Garzolet, lungo la strada statale della Gardesana occidentale poco sopra le abitazioni di Sarche, cresce un prestigioso esemplare di leccio (Quercus ilex) accanto alla sua vetusta discendenza e ad alcuni pini neri.

È il patriarca della valle, raro nella specie per vetustà e portamento, caratterizzato com’è da un tronco tozzo ramificato in sette grosse branche ascendenti a quasi due metri dal suolo, supportanti una possente chioma globosa. Svetta oltre la media, a 25 metri da terra, misura 1,70 metri di diametro e 5,20 metri di circonferenza alla base del tronco, quindi le dense fronde, espanse e di un verde cupo. Come dire, tutti numeri per una perfetta carriera da albero sacro, in tempi remoti (notare che le prime comunità di cristiani erano solite piantare lecci in prossimità di conventi e santuari).

Plurisecolare l’età: dal volume dendrometrico della massa legnosa si stima abbia raggiunto quattro secoli; con buona probabilità è tra i tre lecci più datati della nostra penisola; ma valutare con precisione l’età risulta arduo, stando ai dati in possesso dell’ispettore forestale provinciale Renato Rosatti.

Questa sempreverde tipicamente mediterranea trova a Sarche il limite di latitudine delle specie termoxerofile che, in passato, hanno accusato gli effetti dell’attacco di un coleottero pregiudizievole per la salute dell’intera lecceta di Toblino.

“Da bambini si giocava e ci si nascondeva su quella pianta”, ammette Gabriele Bressan. “Si studiavano le scienze naturali, fuori dalle aule, con un unico grande abbraccio di tutti gli scolari e la maestra intorno alla pianta alla fine della lezione”, ricorda la sacrista Graziella Cescatti, che abita oggi quasi di fronte a quel luogo.

Scriveva degli alberi Hermann Hesse: “Chi sa parlare con loro, chi sa ascoltarli, percepisce la verità”. Per il leccio di Sarche, la verità è che tutti lo rispettano e ne fanno emblema verde dell’abitato al punto da rimanere costernati dall’inaspettato distacco di un pollone, schiantato a terra sul finire di giugno. Un danno da monitorare con oculatezza soprattutto per la causa, l’azione di un fungo patogeno, che non ha concesso agli agenti forestali altra soluzione se non quella della messa in sicurezza del luogo mediante il consolidamento statico dei rami sospesi. Un acciacco fisiologico, ma ancora tanta vitalità da sprigionare e chissà quanto da tramandare.

Certi riti possono sembrare distanti, ma un simile albero merita ancora di più tutto il nostro profondo rispetto.

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