Storie di vita intorno al “Fos dei migranti”

Il toponimo risale alla seconda metà dell’Ottocento, quando il canale veniva attraversato da giovani emigranti stagionali che si recavano nelle vicine province lombarde e venete

Benché non ne abbia le parvenze, è a tutti gli effetti una roggia il “Fos dei migranti”. Questo canale di scolo esiste tuttora nella campagna della piana del Sarca e fa da confine amministrativo tra i comuni di Calavino e di Lasino.

Il toponimo è da ricondursi alla seconda metà dell’Ottocento, quando il canale veniva attraversato da giovani emigranti stagionali che tra il periodo tardo autunnale e quello invernale si recavano nelle vicine province lombarde e venete per prestare il proprio lavoro di braccianti agricoli e non di rado accettando le mansioni più disparate.

Esistono riferimenti storici di fine Settecento legati al periodo dell’assegnazione ai singoli capifamiglia dei terreni appartenenti alle comunità (le cosiddette “sort”) fra Calavino, Lasino e Madruzzo e il fosso costituiva il confine naturale fra le relative proprietà comunali. Largo 8 piedi (2,60 metri) e profondo 5, era attraversato da una strada di penetrazione, più o meno l’attuale che collega Ponte Oliveti a Pergolese, con un modesto ponte (“vi sarà un ponte per passare il Fosso colli peducci di muro”) la cui manutenzione competeva ai tre abitati. Per garantirne la funzionalità idraulica sarebbero dovuti intervenire gli assegnatari frontisti delle porzioni di legna, ossia i contadini che lavoravano questi appezzamenti comunali concessi in comodato con estrazione a sorte.

Il fenomeno migratorio, che prima del XIX secolo aveva carattere prevalentemente stagionale, nei decenni successivi mutò significativamente: l’emigrante salpava alla volta di terre lontane, non tanto il Mezzogiorno, quanto per lo più il Nuovo Continente e sovente senza ritorno. Si stabiliva in cittadine che potessero offrirgli la speranza di un riscatto socio-economico. Espatriare significava inseguire il miraggio di liberarsi dalla miseria. Per trovar miglior profitto all’estero la gente vendeva quel poco che possedeva o otteneva un prestito da parenti per acquistare il biglietto di viaggio di sola andata. Un documento utile a ricostruire l’entità degli espatri trentini verso l’America dal 1870 in poi è la “statistica dell’emigrazione” compilata dal curato don Guetti. Nell’allora decanato di Calavino (la Valle dei Laghi intera con Baselga, Cadine, Sopramonte e Vigolo) emigrò in media l’8% della popolazione (il 77% uomini) con punte del 20-25% in alcuni paesi: il 90% giunse in America Latina e di questi il 15% fece poi ritorno. Detto altrimenti, fecero le valigie 1.242 persone su una popolazione di 15 mila abitanti. E il Fos dei migranti è ancora lì a ricordarlo.

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