Nell’arte – Fonte di ispirazione

La cascata richiama l’idea di quiete e frescura, ma anche la forza utile al lavoro dell’uomo

Terra di montagne e di acque, il Trentino lo è anche, conseguentemente, di cascate. Inevitabile l’interesse che tali acque cadenti hanno suscitato anche nella produzione artistica. Con l’intento di esplorare, o piuttosto di saggiare l’argomento in tutta la sua ampiezza ne presentiamo cinque esempi, volutamente assai differenziati nell’ambito spaziale, temporale, della tecnica esecutiva e tipologico di riferimento.

Un rivolo d'argento in quello stemma nobiliare

Presumibilmente discendenti della famiglia Mozzi (Mozzati) di ghibellini toscani rifugiatisi in Trentino nel XII secolo, col nuovo cognome di Sardagna il 1° ottobre 1579 l’arciduca Ferdinando d’Austria concesse il titolo di nobiltà del Sacro Romano Impero a Giacomo e Francesco, cittadini di Trento. Il loro status nobiliare venne più volte confermato ed elevato al grado di conti del S.R.I. e poi di baroni dell’Impero austriaco.

Lo stemma loro concesso presenta il campo dello scudo troncato: in 1 (in alto) d’oro all’aquila di nero, dal becco, gli artigli e la corona d’oro; in 2 (in basso) di rosso alla rupe al naturale (verde) solcata verticalmente da una cascata d’argento (bianco): ovvia allusione alla cascata d’acqua che da Sardagna precipita sul fondovalle appena a ovest di Trento. Il cimiero è costituito da un elmo a visiera abbassata sormontato da una corona di conte (con 9 punte visibili), da sotto la quale fuoriescono svolazzanti lambrecchini di nero e d’oro gli uni, di rosso e di argento (bianco) gli altri.

Tale stemma lo troviamo, grande, ben conservato, sorretto da due putti, sopra al portale di accesso all’imponente palazzo Sardagna in via Calepina 14 a Trento. L’edificio, eretto nel Cinquecento e ristrutturato nella prima metà del Settecento dalla potente famiglia, ha così assunto l’aspetto attuale di architettura di transizione tra quella rinascimentale e quella barocca.

Già sede del Museo Tridentino di Scienze Naturali, lo è ora del Rettorato dell’Università. II portale con massicci telamoni reggenti la balconata sopra alla quale si trova il gruppo dei puttini reggistemma è opera, dei primi del Settecento, di Cristoforo Benedetti da Castione “junior”.

DOVE: Trento, Palazzo Sardagna

La frescura dell'acqua in uno scenario arcadico

Domenico Zeni, detto “il Pittorello”, nato a Bardolino nel 1762, morì a Brescia nel 1819. Discepolo di Giambettino Cignaroli, fu assai apprezzato per la notevole capacità ritrattistica. Trasferitosi a Riva del Garda si dedicò in modo particolare alla decorazione degli edifici sacri delle Valli Giudicarie e Rovereto.

In puro stile neoclassico, nell’anno 1800 decorò a tempera diversi locali di villa Balduini, oggi più nota come villa Tambosi, sopra a Trento, al bivio fra la strada a sinistra che sale verso Villazzano e quella a destra che porta a Valsorda.

Fra i nove riquadri della sala cosiddetta delle “Metamorfosi” uno ritrae Apollo che, essendo stato scacciato dal Cielo per aver ucciso i Ciclopi, si ritirò presso Ameto, re di Tessaglia, la regione a sud dell’Olimpo, in qualità di pastore.

Mollemente appoggiato ad una grande pietra, suona un semplice flauto traverso di legno ricavandone una musica armoniosa della quale è il primo, e l’unico, a bearsi: con lui sono solo una decina di capre, pecore, agnelli e mucche, alti nel cielo quattro uccelli. Biondo, dall’aspetto assai giovanile, drappeggiato all’antica con un achiton di uno squillante rosso aranciato, è inserito entro uno spazioso paesaggio agreste d’una natura immobile, quasi sospesa in un indefinito non tempo.

Un ponte a due arcate attraversato da una strada sterrata, un gruppo di case, più lontano un villaggetto bastano a portarci in un’atmosfera arcadica che non ha peraltro nessun riferimento archeologico.

Per nulla inquietante, ma piuttosto tesa a richiamare un’idea di frescura è la cascata che scende dalla montagna di destra e presto si trasforma nel fiume spumeggiante al centro del riquadro. In basso a destra un distico di sapore metastasiano collega la scena a specifici passi del poema di Ovidio: “Del re Dameto Apol guarda l’armento, / e scioglie all’aura sovrauman concento”.

DOVE: Villazzano, villa Tambosi

La forza dell'acqua a forgiare le botti per il vino

Oggi gran parte dei tini e delle botti sono in plastica e in acciaio: in legno sono solo le barriques (lunga vita!). Ma una volta i bottai avevano un lavoro frenetico, soprattutto in agosto, subito prima della vendemmia, tanto da caratterizzare con la loro attività proprio quel mese. Così essa appare in gran parte dei cicli dei mesi: nel battistero di Parma, nel portale meridionale della cattedrale di Ferrara, nel portale maggiore della pieve di Santa Maria Assunta ad Arezzo, nel portale maggiore di San Zeno a Verona…

Tale tradizione medievale persiste anche in epoca rinascimentale: a Trento sia nella torre di nord-est di Palazzo delle Albere (sopra al camino, a opera dei fratelli Marcello e Matteo Fogolino fra il 1545 e il 1567), sia nella sala dei mesi di Villa Margone a Ravina.

Recenti studi hanno attribuito l’intera affrescatura di Villa Margone a pittori della cerchia di Gualtiero dall’Arzere, noto anche col nome di Gualtiero Padovano, che si avvalse della collaborazione di altri pittori veneti e forse anche di fiamminghi, influenzati dalla pittura di paesaggio delle Fiandre, e dalle incisioni nordiche, datandola al quinto decennio del secolo XVI.

Proprio su questo riquadro, in basso, con tratto molto corsivo, una mano amica ha graffito il ricordo che “Adj 13 di questo (mese di agosto, ma appunto non serviva scriverlo perché la presenza del bottaio al lavoro connotava senza possibilità di fraintendimento trattarsi proprio di quel mese, ndr) del 1566 nacque il primo figlio a messer jsepo con nome Lorenzo”: Giuseppe Basso, allora il padrone di casa.

Alle spalle della torre che domina la raffigurazione una cascata suggerisce quanto la forza idraulica fosse assai importante anche per l’attività del fabbro e del bottaio.

DOVE: Villa Margone, Ravina di Trento

Una danza vorticosa nel vento e negli spruzzi

Paola De Manincor (1932-2011) è nata a Lavis dove iniziò a dipingere nel 1956 insieme a suo cognato Giuseppe Varner, dedicandosi prima alla decorazione su ceramica e stoffa e alla scenografia, poi approfondendo la tecnica dell’affresco. Entra in contatto con gli ambienti artistici della città (suo marito Italo Varner era il sindaco di Lavis), partecipa a mostre collettive di ambito regionale, coordina ed intensifica la propria attività pittorica viaggiando e visitando vari musei in mezza Europa. Indirizza la propria pittura verso figurazioni in movimento colte nella meraviglia del sogno e del fantastico. Ha realizzato numerosi e grandi murales. Il primo, nel 1989, nella sua casa e poi, sempre a Lavis, in vari ambienti esterni e interni della Cantina La Vis. A seguire a Darzo, a Cembra, a Ton, a Trento e poi in Australia, in Cina, in Brasile, in Canada, a Prijedor…, sempre attenta a cantare la pace e il sociale.

A Cavedago ha decorato la sala consiliare del Municipio con le immagini di un festoso gruppetto di ragazze e ragazzi danzanti, scalzi, i capelli al vento, le gonne svolazzanti, una di loro con una piccola fisarmonica, un organetto.

I colori sono tenui, chiari, pastello e contribuiscono a trasmettere un senso di pace. Vicino all’angolo un ragazzino in calzoncini e maglietta è sotto ai tre ponti stemma del paese. Alla sua sinistra scende vorticosa una cascata di pura acqua della Paganella.

DOVE: Cavedago, sala consiliare del Municipio

Soldati a cavallo e trote argentate

Le operazioni iniziarono già nella notte, quando il genio veneziano costruì un ponte di barche che permise alla truppe accampate nei pressi di Pomarolo di attraversare l’Adige e di puntare verso castel Beseno e castel Pietra, ultimi baluardi rimasti a difesa di Trento. Ma i due castelli resistettero e contro i veneziani si lanciarono prima Micheletto Segato al comando di 400 fanti, dunque Friedrich Kappler con i suoi 900 mercenari tedeschi. Infine, all’improvviso e con gran clamore, Georg von Ebenstein e i suoi miliziani piombarono sugli avversari dalla vallecola del rio Cavallo. Terrorizzati dall’arrivo di sempre nuovi nemici, presi dal panico gran parte dei fanti veneziani si diedero alla fuga e il ponte di barche cedette facendo annegare numerosissimi uomini fra i quali anche il comandante Roberto Sanseverino. Fu una strage. La battaglia del 10 agosto 1487 contribuì a determinare la definitiva cessazione del dominio della Serenissima in Val Lagarina a vantaggio degli Asburgo.

Questo quadretto seicentesco, inedito, di collezione privata, ritrae da ovest castel Beseno, alto su Beseno e su Calliano, nel suo aspetto migliore. Sull’Adige, più o meno dove i veneziani avevano costruito il ponte di barche, un traghetto per l’attraversamento civile del fiume. A sud (a destra) il rio Cavallo, dal quale non scendono miliziani e lanzichenecchi, ma fresche acque e cascatelle. Parafrasando De André, vien da dire che lungo le sponde dei nostri torrenti vogliamo che scendano trote argentate, non più i cadaveri dei soldati portati in braccio dalla corrente.

DOVE: collezione privata

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