Il nostro Dio con i calli sulle mani

Sia nell’omelia del 26 giugno in cui ha ripreso la provocazione di San Vigilio a “svelare il nome del Dio ignoto”, sia nella sua quarta Lettera alla Comunità trentina “Come goccia”, mons. Lauro Tisi ha voluto mettere al centro il falegname di Nazareth, “il nostro Dio con i calli sulle mani”, che affronta dure giornate di lavoro e impara a vivere dentro un ambiente familiare fatto di quotidianità e di festa.

E noi? Siamo uomini e donne capaci di ascoltare quanto ci dice la vita, “mai sazi di cercare, abitati dal silenzio”, liberi perché “liberati anche dalla maledizione dell’utile”?

San Vigilio, attraverso le parole energiche del suo 122° successore, ci provoca – senza sconti – a riconoscere le nostre responsabilità. Già, non è solo per il clima culturale che “il nome di Dio è tornato forestiero”, ma anche perché le comunità cristiane non sanno testimoniarlo a sufficienza: indugiano in modalità più formali che animate dalla Parola, vivono relazioni “affaticate e conflittuali, amplificate anche dall’ambiente digitale – affonda il Vescovo – dove gli stessi cristiani non mancano di accusarsi e delegittimarsi a vicenda”.

Quest’esame di coscienza ecclesiale – quanto mai utile nel giorno in cui benediciamo il pane di Vigilio – vorrebbe farsi preghiera di perdono per le volte in cui la Chiesa pensa trionfalisticamente di essere luce, mentre è soltanto luna che riverbera l’unico sole: è lui, “lumen gentium”, il Maestro, non noi. Altrimenti sarebbe “un tragico errore”, scrive ancora Tisi, finiremmo per raccontare narcisisticamente noi stessi, invece che offrire la gioia del Vangelo.

Nelle venti paginette della lettera, tutte ad alta densità di sapienza biblica, don Lauro ha indicato come strumento esiziale per questa conversione il silenzio orante della preghiera che definisce “la più alta emergenza della nostra Chiesa”. E nell’omelia ha aggiunto i due riferimenti ineludibili: l’Eucaristia, che dona una sana inquietudine, e i poveri, che sono il vero tesoro della Chiesa.

Per dare un volto al valore della fedeltà vissuta con idealità e paziente concretezza l’Arcivescovo ha scelto quello rugoso ma giovanile della novantasettente missionaria di Arco suor Ersilia Mantovani che in 80 anni di vita religiosa ha vissuto lo stile di Gesù condividendo le giornate con le donne del Marocco, non in falegnameria ma in un laboratorio di cucito e ricamo.

Come lei proviamo a rimetterci ogni giorno alla scuola del Maestro. E lasciamoci scavare dentro, senza fretta, come riesce a fare l’acqua della vita, goccia dopo goccia.

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