Ha ragione Mattarella: serve lungimiranza

La copertina di La Repubblica

L’ha richiamato con forza il presidente Mattarella nel suo bel discorso per questo peculiare 2 giugno: in questo momento serve “lungimiranza”. Ed è precisamente quello che manca alla politica in questo momento.
Il richiamo del Capo dello Stato ad un paese che, senza rinunciare alla dialettica politica che è il sale necessario della democrazia, sappia concentrasi sulla ricerca di un destino comune non può essere ridotto semplicemente ad un monito diretto ai partiti. Certamente questi non stanno dando gran prova di essere concentrati su quella ricostruzione, morale e al tempo stesso politica, che è necessaria ad una nazione che è stata coinvolta in un “incubo globale”. Tuttavia è da tenere presente che un senso di unità profonda, una consapevolezza di far parte tutti della stessa storia e della stessa società solidale, come ha opportunamente detto Mattarella, sono carenti anche in molte componenti delle classi dirigenti.
E’ facile pensare subito a come è ridotto il governo della magistratura, che pure è un pilastro della costituzione, ma la mancanza di senso di responsabilità collettiva la si rinviene anche in tante altre corporazioni. Qui non prendiamo in considerazione un fenomeno come quello dei cosiddetti gilet arancioni, che è semplicemente l’espressione di quella che una volta si sarebbe chiamata la folla irrazionale (per non dire di peggio). Il problema è un altro, e riguarda la difficoltà di riorganizzare un sistema dove le resistenze conservatrici sono fortissime.
Ci sono radici storiche e questioni contingenti nella difficoltà di gestire quella rinascita a cui ha invitato Mattarella, ricordandoci che in tempi assai difficili come quelli del 1946 l’Italia seppe trovare la forza di ripartire. Ora c’è da sperare, per dirla con una celebre citazione di Petrarca, “che l’antiquo valore/ne’ gli italici cuor non è ancor morto”. Ci sono state molte testimonianze della presenza di senso civico e di dedizione nelle difficili contingenze della pandemia, ma la cosiddetta fase 2 fa dubitare che si possa tenere su quei fronti.
Da un lato la fragilità della coalizione di governo con le speranze dell’opposizione di essere aiutata dalla rabbia popolare a travolgerlo, dal lato opposto la complessità di portare le molte lobby e corporazioni a rinunciare ai loro privilegi per poter far riprendere il paese, rendono arduo formulare un progetto condiviso e appunto lungimirante di ripresa. L’aspettativa di massicci finanziamenti europei (tutti ancora da ottenere) spinge le varie componenti ad immaginarsi interventi settoriali che possano puntare a ricadute elettorali: dal taglio delle tasse ad opere più o meno fantasiose a cui si assegnano virtù miracolose.
Questo in un quadro che si scontra con la resistenza di tutti i piccoli e grandi poteri che si sono incistati nel sistema grazie alla incertezza che ha dominato il quadro politico negli ultimi trent’anni. Quando ci si lamenta che le banche non hanno soddisfatto le aspettative nel diventare i distributori del credito garantito dallo stato, ci si scorda che esistono dubbi che non si possono esplicitare sul fatto che fra un po’ d’anni, quando una parte di quei presiti diverranno inesigibili per fragilità di chi li ha percepiti, lo stato sarà ancora in grado di elargire le coperture per cui si era impegnato. E’ solo un esempio, ma facilmente replicabile. Per esercitare lungimiranza è necessario che si abbia fiducia in un futuro attraente.
Nel secondo dopoguerra bene o male era così: tutto il mondo voleva uscire dalla guerra e si pensava che chiusa la fase bellica si sarebbe di necessità ripartiti senza avere sulle spalle il fardello del passato. In verità non fu proprio così neppure allora, ma la prospettiva era quella. Oggi non è più così. Il problema non è che i partiti litighino e competano fra loro, è che lo fanno senza sapere davvero perché lo fanno, eccetto che per la banale sopravvivenza delle loro posizioni di insediamento nel sistema.
La novità possibile, anche se purtroppo tutt’altro che certa, è che possa essere la società ad imporre ai partiti di scendere dal pero (se ci si passa un’espressione disinvolta), perché si è resa conto che senza un ragionevole governo della cosa pubblica non si andrà da nessuna parte. Il tempo in cui tutto sommato si puntava sull’anarchia del sistema così ciascuno poteva costruircisi il suo nido è tramontato: forse si è capito quanto fosse stupido.

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