Sul problema dei salari non si può fare demagogia

La questione del salario minimo, su cui c’è stato un pronunciamento un po’ sibillino della UE, non è che una delle componenti del tema assai caldo della inadeguatezza di una larga parte di salari e stipendi rispetto al mantenimento dei nostri standard di vita. Non è solo questione di favorire una crescita dei consumi, cioè di quella componente del motore economico a cui ci si affida sempre in un sistema come il nostro in cui su altri aspetti si fa più fatica a fare leva.

Certamente con l’inflazione che riprende quota e con uno scenario internazionale che fa lievitare costi e prezzi (con le inevitabili speculazioni) i bassi salari diventano ancora più magri e hai voglia ad incentivare la spesa delle famiglie. Nell’immediato, ci dicono alcuni esperti, ancora non si vede pienamente la contrazione dei consumi, se non nelle fasce più disagiate, perché le famiglie possono ancora attingere ai risparmi che avrebbero anche un poco incrementato a causa dell’austerità obbligata durante la prima fase della pandemia. Se sia davvero così non sapremmo, ma certo si tratterebbe comunque di un qualcosa destinato a durare poco. Dunque bisogna trovare il modo di incrementare il reddito dei lavoratori, altrimenti non solo andrà avanti la recessione, ma cresceranno anche le diseguaglianze sociali con tutte le tensioni che ciò comporta (sarebbe corretto parlare di ingiustizia, ma ci limitiamo a presentare il risvolto per così dire utilitaristico: la rabbia sociale genera solo guai).

Come si può affrontare il tema dell’incremento delle buste paga dei lavoratori? La questione è complessa, perché in parte riguarda il lavoro industriale dove c’è da guardare alla sostenibilità per le imprese di aumentare il costo del lavoro a fronte dei ricavi possibili, ma in parte riguarda il settore pubblico dove il rapporto tra lavoro e creazione di guadagno per la mano pubblica è molto difficile da cogliere.

Nonostante i molti squilibri che esistono nella distribuzione delle risorse nelle imprese (manager strapagati, operai alla fame, secondo una immagine un po’ farsesca, ma anche con qualche realtà), non è agendo astrattamente su questi squilibri che si può risolvere il problema. Le nostre imprese sono inserite in un sistema internazionale che determina costi e prezzi di quanto si produce ed i margini attuali per intervenire sul costo del lavoro sono più che modesti. Bisogna dunque trovare altre soluzioni e quella più a portata di mano è intervenire sul cosiddetto cuneo fiscale. Quel che arriva nelle tasche del lavoratore è solo circa il 60% di quello che eroga l’impresa, perché il 40% se ne va in contributi, tasse, e quant’altro, soldi che si incassa lo Stato. Dunque dicono un po’ tutti, sindacati e datori di lavoro, lo Stato rinunci ad una parte almeno di quelle entrate e sarà possibile incrementare i salari percepiti dai lavoratori senza costi aggiuntivi per le imprese.

Messa così, la faccenda appare semplice, non fosse che con quelle entrate lo Stato sostiene il sistema previdenziale e pensionistico, per non dire di altri servizi che eroga alla collettività. Se arriveranno meno soldi, significherà dover tagliare in parte quelle prestazioni e servizi, a meno che si facciano confluire risorse da altre fonti.

Si finisce così in un gorgo, perché lo si può fare aumentando il prelievo fiscale su altre fonti, ma devono essere “certe”, non ipotetiche come si è rivelata essere la lotta all’evasione fiscale, che se venisse annientata ci renderebbe tutti benestanti, ma sono decenni e decenni che se ne parla e non si conclude quasi nulla. Altrettanto va detto per le varie mitologie sulle “patrimoniali” che servono solo a spostare la rabbia sociale su altri settori, che non saranno quelli dei super ricchi, i quali sanno benissimo come si evitano quei prelievi.

Allora bisogna arrendersi a non avere soluzioni? Nemmeno per sogno, semplicemente perché il problema dell’incremento dei redditi è cruciale: senza non si può sperare in una ripresa della natalità, nel mantenimento di un livello di consumi di cui non si può fare a meno, in un equilibrio sociale che risparmi da avventure ribellistiche e demagogiche.

La ricerca di una rimodulazione del nostro sistema di distribuzione della ricchezza e dei redditi dovrà essere un obiettivo serio che si pone una politica degna di questo nome, cacciando fuori tutti i demagoghi che la infestano.

Non sarà semplice, ma è imprescindibile per la salvaguardia del nostro futuro. Non sarà facile perché significa abbandonare tutti gli slogan e i pregiudizi che ci siamo costruiti storpiando le vecchie contrapposizioni di parte.

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