Un Trentino magico nella pittura di Gino Castelli

lo spunto

Pochi giorni prima di Pasqua, nella sala di via Dordi la Pro Cultura, la più antica associazione culturale di Trento, ha consegnato la sua “Targa” di benemerenza e riconoscimento al pittore Gino Castelli, per aver illustrato e onorato in modo particolare e originale Trento, la sua cittadinanza, la sua proposta d’arte e di cultura.

Assieme a un folto pubblico di estimatori, appassionati ed amici, hanno accolto Castelli e fatto gli onori di casa il presidente della Pro Cultura, architetto Arrigo Dalfovo, e il critico d’arte e poeta Massimo Parolini, che di Castelli ha sposato la figlia Sabina, a sua volta pittrice ed insegnante di disegno presso il Liceo Scientifico Da Vinci.
Castelli, noto e amato “pittore dallo sguardo incantato sui paesaggi del magico Trentino e sulle acque della laguna veneziana”, è nato nel popolare quartiere dei Casoni, in via Veneto nel 1930. La Targa è stata anche l’occasione per festeggiare il lucido traguardo dei suoi 94 anni.

Massimo Parolini

 

Sono pochi i Trentini che non hanno conosciuto e incontrato Gino Castelli e la sua arte nel suo lungo e complesso percorso di vita, nelle sue tappe di scoperta degli angoli e dei momenti più nascosti della sua montagna (non solo i boschi e i paesaggi, ma le icone popolari, i crocefissi intagliati nel legno della Val dei Mocheni, le Madonne affrescate sui muri dei masi …) o gli scorci suggestivi di quella capitale anche dolomitica, non solo marina e adriatica che è Venezia, dove si recava a trovare la figlia che vi studiava con una borsa di studio all’Accademia d’Arte. Castelli faceva parte di quella generazione di Trentini povera e vitale che proveniva dai “Casoni” il quartiere di via Veneto che era anche una scuola di vita.

Cesare Maestri era suo coetaneo e compagno e l’avrebbe poi introdotto alla montagna, ma non alle scalate, perché il giovane Gino aveva invece la vocazione del disegno, ambito nel quale subito si distinse e dove trovò un lavoro. Fu infatti disegnatore presso lo studio dell’ingegner Gentilini, uno dei maggiori progettisti e imprenditori di Trento (progettò, fra l’altro l’autostrada del Brennero). Era una generazione, quella di Castelli, che affinava i suoi talenti attraverso lunghi tirocini e il giovane Gino, dopo Gentilini, si mise alla prova aprendo un suo proprio studio con Luciano Eccher, il fotografo, che proveniva anch’egli dai Casoni e che sarebbe diventato compagno di cordata di Cesare Maestri, nel Gruppo di Brenta (una sua avventura, conclusasi con un coraggioso salvataggio si meritò una pagina di Dino Buzzati sul “Corriere della Sera”) e in Patagonia. Castelli ed Eccher avevano lo studio in Vicolo Galasso, dietro il Palazzo del Diavolo e mentre Luciano sviluppava le sue pellicole Gino affinava la sua mano disegnando anche dettagliate mappe e piante urbane, chiarissime, ricercate non solo dai progettisti, ma dagli uffici del turismo.

Fu forse l’essersi immerso così a fondo nello spirito della città di cui ritraeva il volto urbano a spingere Gino Castelli verso l’arte o forse l’incontro con la vitalità di Lola, destinata a diventare sua moglie, fatto sta che dopo i disegni di Vicolo Galasso egli aprì una sua personale galleria d’arte, “La Tavolozza”, nella centralissima via San Vigilio. E fu qui che si fece veramente conoscere, perché la Tavolozza Castelli non la volle come bottega d’arte, ma come punto di incontro fra gli artisti, le loro opere e la città. Offriva prezzi contenuti ed accessibili perché voleva che i suoi concittadini potessero godere nelle loro case le opere dei grandi artisti trentini (e triveneti soprattutto) che egli stimava, e che a su volta lo stimavano, come Guido Polo o i lavori, difficilmente rintracciabili di Benvenuto Disertori. Soprattutto la sua galleria ebbe il merito di avvicinare gli appassionati trentini alla difficile e raffinata arte dell’incisione (quasi un “distillato” dei segni grafici) mettendosi anche in gioco personalmente con suoi disegni di paesaggi disegnati con leggeri e ravvicinati tratti di china fino a comporre quasi un’incisione che poi, a seconda dei momenti e degli stati d’animo, poteva o meno essere tenuamente colorata a pastello. Erano vere sinfonie grafiche, quasi sospese sulla struttura dei minuti graffi di penna che ne sorreggevano il ritmo, le opere di Castelli, molto richieste, che egli smise di disegnare solo in età già avanzata, quando iniziò ad avere problemi di vista. Erano opere molto amate perché presentavano un’arte al tempo stesso rigorosa e cordiale, circondata di misteri, ma vicina ai luoghi di vita della quotidianità.

Quella di Gino Castelli alla Tavolozza è stata una stagione che viene ancora rimpianta, proprio perché portò l’arte grafica e pittorica nel cuore della gente e della città. Quando la galleria chiuse Trento si sentì impoverita (quanti negozi di identità e utilità hanno chiuso nel frattempo), non solo perché erano molti i visitatori che da Bolzano o da Verona venivano a Trento per i lavori che avrebbero incontrato in galleria, ma perché i disegni e i dipinti di Gino facevano ormai parte della città. Per questo era così folto il gruppo di amici riuniti per la Targa a lui consegnata alla Pro Cultura. Per questo dopo l’incontro si è fatta strada in molti la nostalgia che egli possa riproporsi, non forse con i disegni minuziosi che sollevano problemi di vista, ma con alcuni scorci di “passeggiate trentine” paralleli agli scorci veneziani da lui nel frattempo preparati.

Sarebbe un modo per continuare a sentire Gino Castelli e la sua arte fra le mura della sua città non solo nel vento che agitano di misteriosa magia i boschi delle sue montagne, che costituisce un altro fondamentale capitolo – già documentato in esposizioni e mostre – della sua attività.

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