“Per me il tempo è una clessidra e io sono la sabbia”, ha scritto in una sera d’inizio estate Erri de Luca. Anche la scelta della clessidra per la copertina della Lettera dell’arcivescovo Lauro Tisi per questo San Vigilio 2025 richiama l’attenzione sul contenuto più che sul contenitore. Il titolo “Al di là” – volutamente staccato peraltro – porta al tema dell’eternità promessa da Gesù (Gv 6,54), ma non come una prospettiva celestiale, distante e disincarnata. Lo sguardo non è tanto sul tempo futuro dei filosofi, ma sull’oggi di ognuno di noi, sul “qui ed ora”.
Al punto che testimoni sono persone semplici del nostro tempo – da don Mauro Leonardelli ai familiari della ciclista Sara Piffer – che ci hanno dato quest’anno un esempio straordinario di come affrontare cristianamente la morte.
Interrogato anche da molti incontri della Visita pastorale, l’Arcivescovo Lauro non è interessato a lanciare un monito di stampo medioevale sulla caducità della vita. Vuole piuttosto ricavare e valorizzare anche dalla visione teologica di oggi – ne è prova il volume “Eternità” curato da due docenti del nostro Istituto “Guardini”, Milena Mariani e Giuseppe Casarin – che arriva a capovolgere per certi aspetti una tradizionale impostazione che relegava la vita eterna ad una questione oscura e inaccessibile: “La vita eterna non è un dopo cronologico – afferma don Lauro – ma una realtà viva e presente: è Cristo Risorto, che ci comunica la vita di Dio, nell’essere fratelli e sorelle per gli altri. Fin da ora possiamo farne esperienza ogni volta che scegliamo di amare, di donarci, di entrare nella logica del Risorto”. E insiste, ancora più preciso: “La vita eterna non è attesa passiva di un compimento futuro, ma una relazione dinamica, personale, concreta, declinata al presente”. Capovolge la clessidra, dunque, questa “Lettera alla comunità”: c’è continuità fra la sabbia che – come la speranza – non finisce col passare da un vaso all’altro attraverso la strettoia della morte. A proposito l’Arcivescovo ribadisce un aspetto essenziale da noi dimenticato, perché snobbato da una cultura razionalista: “La fede cristiana – scandisce don Lauro – afferma la resurrezione dei corpi, l’identità personale di ognuno che non viene cancellata. Ma, anzi, va a dar vita alla grande comunione con gli altri fratelli e sorelle che hanno varcato la soglia della morte”.
Una Lettera coraggiosa, perché non elude un tema prima del Concilio enfatizzato nella logica retributiva del Dio giudice o poi volutamente rimosso dall’attenzione mediatica nei suoi significati più personali e decisivi. Una ricerca evangelica in linea con lo scrittore Luigi Accattoli che già vent’anni fa in un dialogo col cardinale Carlo Maria Martini indicava “una teologia positiva delle cose ultime”, perché “credere fa bene già nel presente”.
Ma è anche una Lettera incoraggiante giacché dedicata in buona parte a questa vita “altra” di Dio, donataci in abbondanza nell’umanità di Gesù. “Quando vivi nell’ascolto, nel perdono, nel servizio tu hai già l’anticipo della vita beata. La assapori nella sua pienezza, ne percepisci l’adrenalina salutare”. Di qui la valorizzazione dell’Eucaristia e altre conseguenze pastorali condensate in poche ponderose pagine.
Da leggersi – ecco un consiglio – anche nei gruppi della Parola, o fra amici, in famiglia. Perché la vita eterna non è questione personale, ma comunitaria. Ce lo ricorda un passo di don Andrea Decarli – in questi giorni in cui preghiamo intensamente per la sua salute – nel suo splendido testo “Custodire l’umano” (Tav Editrice): “Gesù non te lo inventi, ma lo conosci attraverso la testimonianza di chi te ne ha parlato, cioè la comunità. Se in ogni religione c’è un messaggio da accogliere, ciò è vero ancor più per la fede cristiana che ha il suo centro vivo nella persona storica di Gesù Cristo: Dio lo incontri in lui, dunque in una memoria che va trasmessa dai testimoni”.