“Lasciamoci abbracciare dai poveri”

Qui si traduce in gesti concreti l'auspicio di Papa Francesco: una Chiesa povera tra i poveri

Vergel do Lago (Maceiò, Alagoas) – Surreale. E straniante. Sono i primi aggettivi che mi vengono in mente, quando, svoltando in fondo alla lunghissima avenida Sen. Rui Palmeira, il signor Cicero, che ci fa da autista, si addentra con l'auto sulla spianata del vecchio “papòdromo”, e la parcheggia accanto a un'enorme struttura in cemento e ferro, che chiude la vista verso la laguna Mundaú. Una giumenta cerca fra i sassi e la terra qualche ciuffo d'erba secca. Poco più in là un ragazzino finisce di assemblare un aquilone con due stecche di bambù e un sacchetto di plastica, mentre dei bambini tentano di far volare i loro, dalle code variopinte.

Spiccano, al centro dell'imponente struttura, tre giganteschi ritratti. Due figure sono immediatamente riconoscibili: al centro, un ritratto a figura intera di Gesù Cristo, su fondo dorato, con un fascio di luce che vira dal rosso al blu irraggiandosi dal cuore; a destra, un ancora giovane Papa Wojtyla. “Quella ritratta a sinistra è Irmã Dulce, suor Dulce“, mi spiega don Augusto Jorge Pessoa, il prete brasiliano, 38 anni, originario di Recife, che mi accompagna nella visita di questo pezzo di città ai margini dei margini. Siamo nel quartiere Vergel do lago, uno dei più antichi di Maceiò, sorto affacciato sulla laguna Mundaù, una specie di penisola che separa la laguna dall'oceano Atlantico, all'altezza della spiaggia Pajuçara, considerata per la sua bellezza la cartolina postale della capitale dell'Alagoas.

Proprio qui dove stiamo, in questa spianata, celebrò la santa messa Papa Giovanni Paolo II. Era il 19 ottobre 1991. Per l'occasione fu costruita una grande chiesa a cielo aperto. Il Papa era arrivato in Brasile pochi giorni prima, il 12 ottobre, per poi lanciarsi in un forsennato tour di dieci giorni verso nord, al centro, nella capitale Brasilia e nel Mato Grosso, e poi lungo la costa sostando in alcune delle principali città sull'Oceano.

Per la visita del Papa a Maceiò, il governo Collor investì 30 milioni di reais (ai valori attuali, cioè circa 8 milioni e mezzo di euro). Il “papòdromo”, come fu subito battezzato, rimase poi sostanzialmente abbandonato per due decenni, subendo un inarrestabile degrado e finendo per essere trasformato in una discarica. Ci sono voluti più di 20 anni per restituire dignità a un luogo così significativo per la Chiesa cattolica di Maceiò. Il progetto di recupero, avviato nel 2015, si è concluso alla fine del 2016. Per sostenere le spese, pari a 140 mila reais, venne qui a tenere un suo show padre Fábio de Melo, famoso compositore e cantante brasiliano.

Don Augusto Pessoa, parroco della vicina Parrocchia di Nossa Senhora do Perpetuo Socorro, accettò l'incarico del vescovo di Maceiò, dom Antonio Muniz, di seguire il progetto e i lavori di riammodernamento del complesso. Il palco coperto e quattro grandi sale ricavate nel retropalco furono completamente ristrutturate e oggi la struttura ospita il Santuario della Divina Misericordia Giovanni Paolo II e Irmã Dulce, di cui don Augusto è rettore, e un centro sociale a servizio della popolazione della vicina favela che si affaccia sulla laguna Mundaù, e soprattutto dei minori. Sono centinaia i bambini assistiti e accompagnati, insieme alle loro famiglie. Le “cestas básicas”, le ceste con generi alimentari di prima necessità, vestiti e coperte sono assicurati alle famiglie più bisognose. Per i bambini ci sono attività ricreative varie. “Sono modi diversi per esprimere la misericordia e dare speranza, mostrando che esiste sempre una possibilità, per tutti. Una espressione dell'amore di Dio per l'umanità che si manifesta attraverso le nostre azioni”, osserva don Augusto.

“E' molto significativo – ci dice ancora – che nell'unico luogo di Maceiò dove Papa Giovanni Paolo II, oggi santo, disse messa sia sorta questa realtà. E' un luogo ricco di significato non solo per la Chiesa cattolica, ma direi per tutta Maceiò, perché Papa Giovanni Paolo II, oltre che grande uomo di pace, è unanimemente riconosciuto come il Papa della Misericordia”. Il santuario è stato fortemente voluto dall'Arcidiocesi di Maceiò. Significativo è anche il fatto che sia intitolato anche a suor Dulce. Questa religiosa brasiliana delle Suore Missionarie dell'Immacolata Concezione della Madre di Dio, morta nel 1992, è ricordata per le sue opere di carità e di assistenza ai poveri e ai bisognosi tanto da meritarsi l'appellativo di “Madre Teresa del Brasile” e di “Angelo dei poveri”, ed è stata proclamata beata nel 2011.

Insieme a don Augusto ci addentriamo all'interno della favela, percorrendo le strette viuzze fangose, tra baracche di legno e lamiera. Sulla riva della laguna un gruppo di ragazzini passa il tempo immergendosi nell'acqua e alla vista di don Augusto si presta volentieri per un selfie con questo giovane prete – ha 38 anni – che rappresenta bene quel clero brasiliano attento sia alla dimensione spirituale sia alle necessità più materiali. Colpisce la familiarità con cui gli abitanti della favela lo accostano. Sulla riva, due uomini sono intenti alla raccolta del sururu, il mollusco tipico di questa zona, che altri poco più in là cuociono su fuochi di brace dentro contenitori di lamiera. “I molluschi cotti vengono poi venduti al mercato di Vergel do lago – spiega don Augusto – ed è questa l'unica forma di sostentamento di queste persone”. Entrando in una delle baracche, la padrona di casa, una giovane mamma mostra con orgoglio l'altare domestico, con immagini devozionali, angioletti e candele profumate. Un segno di quella fede popolare che Papa Francesco ha indicato ai vescovi dell'America Latina, in una sua lettera, come una dimensione da coltivare e su cui far leva. Poco più avanti, mentre torniamo lentamente verso la macchina, un'altra donna, incinta, si avvicina, stringe don Augusto in un abbraccio, mentre gli sussurra le sue fatiche. “Abbiamo bisogno di lasciarci abbracciare dei poveri”, ci dice don Augusto, mentre saliamo in macchina. E si riferisce a noi, singoli cristiani, ma anche, in generale, alla Chiesa. Qui a Vergel do lago ci sono preti che rendono concreto, visibile, l'auspicio di Papa Francesco: una Chiesa povera tra i poveri.

Il rammarico di don Augusto, che a giugno sarà a Roma, all'Università Gregoriana, per perfezionare il suo percorso di studi – e approfitta del cronista arrivato da Trento per esercitarsi nel suo ancora incerto italiano – è di non potersi occupare più di questa sua gente. “Non si preoccupi, don Augusto – proviamo a rassicurarlo -, purtroppo troverà anche a Roma dei poveri da abbracciare e da cui lasciarsi abbracciare!”.

(6. fine – le precedenti puntate sono state pubblicate a partire dal numero 6/2017)

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